meteoperugia
Stazione Meteo di Ponte Felcino, Perugia - Umbria, Italy
Str. Poggio Pelliccione  -  43° 8'.5N  -  12° 25'.43E  -  340m asl
Federico Paoletti Weather Station
La Crosse 2350 connected to iMac - LWC Lightsoft Weather Center


Glossario Meteo


850 hp, 500 hp (o hPa)
Indicazione che si trova nelle carte metorologiche, che si riferisce alla pressione atmosferica (che e' direttamente correlata con l'altitudine), misurata in hectopascal, e serve ad indicare a quale altitudine si riferisce la situazione mostrata nella mappa stessa.
Indicativamente, 850 hPa corrispondono a circa 1400 metri s.l.m., 500 hPa a circa 5400 metri s.l.m..
Un hectopascal (hPa) equivale a 100 pascal (Pa) e corrisponde a 1 millibar (mb o mbar); 1 Pa corrisponde a 10E-5 atmosfere.


Adiabatici (processi)
Tra le parole 'difficili' che si incontrano leggendo un manuale di meteorologia vi è sicuramente l'aggettivo 'adiabatico', anche se il termine descrive un concetto abbastanza semplice. Le trasformazioni adiabatiche, nel linguaggio della termodinamica, sono quelle durante le quali 'il sistema' non scambia calore con l'esterno, l'energia termica, non viene, cioè, né ceduta, né assorbita. Se seguiamo lo spostamento di una massa d'aria troveremo che molto spesso nei moti atmosferici questa condizione viene soddisfatta, almeno con un sufficiente grado di approssimazione.
L'aria secca, infatti, risulta essere quasi del tutto trasparente alla radiazione solare; gli strati d'aria lontani dal suolo si riscaldano pochissimo durante il giorno e si raffreddano in modo trascurabile durante la notte, anche perché l'aria è un pessimo conduttore del calore. Una massa d'aria che subisce uno spostamento verticale, ad esempio perché costretta a salire o scendere lungo un rilievo, viene a trovarsi in regioni con diversa pressione atmosferica; come avviene per tutti i gas, il processo di espansione o di compressione è accompagnato da raffreddamento o da riscaldamento. La trasformazione può essere considerata adiabatica per via della bassa capacità dell'aria di trasmettere il calore per conduzione agli strati vicini. Si calcola facilmente che durante la salita l'aria si raffredda di circa 1 grado per ogni 100 metri di dislivello e, per le ragioni esposte, questa variazione di temperatura rispetto all'altezza è detta 'gradiente adiabatico dell'aria secca'. Si tratta di una quantità importante perché nell'atmosfera il gradiente adiabatico rappresenta in pratica la massima variazione possibile di temperatura che si può osservare con una variazione di quota (ed è anche un valore facile da ricordare!).
Le trasformazioni che subisce l'aria umida sono in generale più complesse specialmente a causa dei processi di condensazione e di evaporazione del vapore acqueo. Durante la condensazione si libera calore, mentre con l'evaporazione il calore viene assorbito. La variazione di temperatura che si misura in presenza di condensazione del vapore è dunque inferiore che nell'aria secca. A seconda della quantità di umidità che condensa la variazione di temperatura con la quota è dell'ordine di circa 0.5-0.6 gradi per ogni cento metri, quindi anche della metà rispetto all'aria secca.
Lorenzo Danieli - Centro Epson Meteo

Alta pressione transitoria
Alta pressione di breve durata, alla quale segue presto una diminuzione della pressione.


Alta pressione
Porzione dell'atmosfrera nella quale l'aria ha una pressione piu' elevata di quella dell'aria circostante. L'aria a maggiore pressione puo' essere localizzata in quota o a livello del suolo.


Anticiclone delle Azzorre
L’anticiclone prende il nome dal centro di alta pressione attorno al quale avviene la circolazione che si trova, soprattutto d’inverno, in corrispondenza delle isole Azzorre, nell’Oceano Atlantico. Appartiene al gruppo degli anticicloni subtropicali e il suo comportamento influenza grandemente tutta l’area mediterranea e non solo. La sua posizione invernale, a latitudini relativamente basse, permette a un gran numero di perturbazioni, in genere atlantiche, di accedere al Mediterraneo. In realtà negli ultimi 10-15 anni l’anticlone in inverno-primavera ha preso l’abitudine di allungarsi molto spesso e per lunghi periodi verso la Francia e il Nord Italia, impedendo così alle piovose e fredde perturbazioni atlantiche di raggiungere l’Italia. Questo spiega gli ormai ricorrenti episodi di grave siccità in inverno-primavera sulla nostra penisola In estate, oltre che a spostarsi più a Nord espandendosi, tende invece a ricoprire e quindi a proteggere il Mediterraneo dalle perturbazioni, garantendo, in genere, tempo caldo e soleggiato. La diversa posizione nel corso dell’anno dell’Anticiclone delle Azzorre è conseguenza del fatto che nella stagione fredda la differenza termica Equatore-Polo è molto più marcata di quanto non sia in estate.



Arcobaleno
Fin dall'antichità l'arcobaleno è sempre stato considerato un fenomeno atmosferico affascinante e legato alle divinità. Per la filosofia buddista, l'arcobaleno è la scala con la quale Buddha ridiscende dal cielo; nella mitologia greca, l'arcobaleno è rappresentato da Iride vestita di iridescenti gocce di rugiada. Anche in Cina l'arcobaleno assume un significato: l'insieme dei suoi colori rappresenta l'unione dello yin e dello yang, l'armonia dell'universo e della sua fecondità. Secondo San Martino i sette colori sono i simboli delle virtù intellettuali; mentre, per i cristiani, simboleggia l'alleanza tra Dio e gli uomini dopo il diluvio universale.
Che cosa è in realtà l'arcobaleno? È l'insieme di sette archi concentrici, di diverso colore (rosso, arancione, giallo, verde, blu, indaco, viola), che hanno origine dall'interazione dei raggi solari con le gocce di pioggia.
Già Aristotele aveva tentato di spiegare matematicamente la formazione dell'arcobaleno, ma è solo con Descarte (Cartesio, 1637) che si hanno i primi trattati matematici corretti su questo fenomeno. Dopo un temporale, è possibile vedere apparire un arcobaleno in una porzione del cielo, mentre il sole splende in un'altra. Tuttavia, questo accade solo se l'osservatore ha il sole alle spalle e il centro dell'arco circolare è nella direzione opposta all'astro. Ci sono, infatti, tre effetti ottici che determinano la formazione dell'arcobaleno: rifrazione, riflessione e dispersione. I raggi solari, che attraversano la goccia di pioggia, supposta sferica, sono rifratti (deviano la loro traiettoria) al suo interno e sono, pertanto, separati in altri raggi, associati ai diversi colori. Se all'interno il raggio rifratto forma un angolo maggiore di quello critico (48°) con la normale alla superficie interna, che il raggio raggiunge, allora il raggio è riflesso e nuovamente rifratto quando esce dalla goccia. Da ogni goccia, tuttavia, esce un solo raggio (raggio di Descarte) con un angolo caratteristico, corrispondente ad un determinato colore, che varia dai 40 (viola) ai 42 gradi (rosso). Questo raggio è il più significativo perché, tra tutti i raggi incidenti sulla goccia, è quello che ha il più piccolo angolo di deviazione. La concentrazione di raggi vicino alla minima deviazione e la forma sferica delle gocce sono la spiegazione della forma arcuata dell'arcobaleno.
In particolari condizioni atmosferiche, è possibile osservare due arcobaleni vicini di diversa intensità luminosa e, a volte, se si è particolarmente fortunati, si può scorgere anche un terzo. Quello più luminoso è detto arcobaleno primario e ha i colori che cambiano dal rosso, all'esterno dell'arco, al violetto, al suo interno. La posizione dei colori è determinata dall'angolo dei raggi uscenti dalle gocce. L'arcobaleno secondario, così come gli altri, se esistono, si crea per una duplice riflessione dei raggi rifratti all'interno delle gocce. Per questo arcobaleno, la disposizione dei colori è invertita. La parte interna di un arcobaleno primario risulta molto più luminosa di quella esterna. La spiegazione sta sempre nell'ampiezza degli angoli dei raggi uscenti. Alcuni raggi emergono dalla goccia con angoli più piccoli rispetto a quello del raggio di Descarte. In questo modo ci sarà un sovrapposizione di colori che daranno luce bianca.
In conclusione, l'arcobaleno, essendo generato dall'interazione dei raggi del sole con la pioggia, potrà essere osservato prevalentemente in estate, perché c'è più possibilità di avere contemporaneamente sole e pioggia, ma non sarà identico a due persone diverse perché cambia il loro punto di vista rispetto agli angoli di rifrazione e di riflessione dei raggi.
Alessia Borroni - Centro Epson Meteo


Atmosfera
Strato di elementi gassosi che circonda la terra. Si divide in Troposfera, Stratosfera (strato di ozono), Mesosfera, Termosfera e Esosfera. Si estende poi senza un limite ben definito nello spazio.
La troposfera
La parola Troposfera deriva dal greco "Tropos" che significa variazione, proprio perché all'interno di questa sfera troviamo i maggiori valori di pressione e densità. La troposfera è anche il luogo della vita: tutte le piante e tutti gli esseri umani vivono in essa, utilizzando alcuni dei gas che la costituiscono. È anche lo strato in cui si verificano quasi tutti i fenomi meteo e contiene l'80% della massa gassosa totale e il 99% del vapore acqueo: l'aria della troposfera è riscaldata dalla superficie terrestre ed ha una temperatura media globale di 15°C al livello del mare, che diminuisce con l'altitudine (0,65°C ogni 100m di quota) fino ai circa -60°C della tropopausa. L'aria degli strati più bassi che tende a salire genera grandi correnti convettive da cui hanno origine i venti equatoriali costanti, detti alisei le perturbazioni atmosferiche. La troposfera ha uno spessore variabile a seconda della latitudine: ai poli è spessa 8 Km, mentre raggiunge i 17 Km all'equatore. La pressione atmosferica decresce con l'altitudine secondo una legge esponenziale. Salendo in quota, oltre a pressione e temperatura, diminuisce anche il contenuto di vapore acqueo dell'aria. Ad un certo punto la temperatura si stabilizza a -60ºC circa: è la tropopausa, la zona di transizione fra troposfera e stratosfera.
La stratosfera
È lo strato atmosferico situato al di sopra della tropopausa e raggiunge un'altezza di 50-55 chilometri. Qui avviene il fenomeno chiamato “inversione termica”: cioè, mentre nella troposfera la temperatura diminuisce con l'altezza, nella stratosfera aumenta, fino al valore di 0°C. Ciò è causato dalla presenza di uno strato di ozono, la cosidetta ozonosfera, che assorbe quasi tutte le radiazioni solari ultraviolette. Nella stratosfera i componenti si presentano sempre più rarefatti, il vapore acqueo e il pulviscolo diminuiscono ruscamente, ma resistono ancora particolari tipi di nubi chiamate cirri.
La mesosfera
In questa zona, che si spinge sino a 80 Km di quota, l'atmosfera non subisce più l'influsso della superficie terrestre, ed è costante a tutte le latitudini. Non ci sono più né venti né correnti ascensionali, né nubi o perturbazioni: l'aria è completamente calma. In queste condizioni, i gas si stratificano per diffusione, e la composizione chimica media dell'aria inizia a variare man mano che si sale. L'anidride carbonica scompare rapidamente e il vapore acqueo ancora più in fretta, e anche la percentuale di ossigeno inizia a diminuire con la quota. Aumentano le percentuali di gas leggeri come elio e idrogeno. L'effetto riscaldante dell'ozono è terminato, e la temperatura diminuisce sempre più con la quota fino a stabilizzarsi, in un limite superiore della mesosfera, a circa -80ºC, denominato mesopausa.
In quest’ultimo strato hanno origine le stelle cadenti o meteore. Oltre la mesopausa, alla quota di circa 100 km, l'aria è tanto rarefatta da non opporre una resistenza tangibile al moto dei corpi, e quindi diventa possibile muoversi con un moto orbitale. Per ciò la mesopausa viene considerata il confine con lo spazio.
La termosfera
In questo strato, che si spinge sino a 500 km d’altezza, i gas presenti sono tanto rarefatti che ricevono quasi interamente la radiazione solare diretta e sono quindi in prevalenza allo stato ionizzato (insieme agli strati superiori della mesosfera, la termosfera costituisce la ionosfera terrestre). La temperatura in questo strato sale con l'altitudine, per l'irraggiamento solare, ed arriva ai 1700ºC al suo limite esterno. Al confine fra mesopausa e termosfera hanno luogo le spettacolari aurore boreali.
La composizione chimica è ancora simile a quella media, con una predominanza di azoto e ossigeno, ma cambia sempre più con l'altitudine. A circa 500 Km di quota, questi due gas cessano di essere i componenti principali dell'atmosfera, che diventano elio e idrogeno.
L’esosfera
È la parte più esterna della atmosfera terrestre, dove la composizione chimica cambia radicalmente e non ha un vero limite superiore. I suoi costituenti sono per lo più idrogeno ed elio, in maggioranza particelle del vento solare catturate dalla magnetosfera terrestre. La temperatura aumenta rapidamente con l’altezza sino a raggiungere e forse superari i 2000°C .




Bassa pressione dell'Islanda
Bassa pressione che si trova spesso nei mari attorno l’Islanda. In questa zona la Corrente del Golfo apporta molta energia dal basso.


Bassa pressione
Configurazione di pressione circondata da sistemi nei quali la pressione è più alta.


Bora
E’ un vento secco e freddo, che soffia da NE dai monti del litorale nordorientale dell’Adriatico. Si distingue una bora chiara, che e' indice di bel tempo, e una bora scura che porta pioggia o bufere di neve. Può raggiungere i 40m/s (144 Km/h).


Brezza di montagna e valle
Circolazione di natura termica analoga alla brezza di mare - terra. Di giorno l’aria si riscalda sulle pendici montuose e sale verso l’alto (brezza di valle), nella notte si raffredda e scende verso le valli (brezza di monte).


Buys-Ballot (legge di)
Secondo la legge di Buys-Ballot, nell'emisfero nord, rivolgendo le spalle al vento, l'area di bassa pressione si trova alla sinistra dell'osservatore (alla destra se ci si trova nell'emisfero sud).


Calaverna (talvolta galaverna, o brina opaca)
Sottile strato di ghiaccio che si forma sugli oggetti esposti a freddo intenso, ed e' costituito da granuli che si formano per rapido congelamento e sovrapposizione di piccolissime goccioline d'acqua.
 


Carta della pressione
Rappresentazione grafica della pressione atmosferica o della posizione delle alte e basse pressioni. I punti di uguale pressione sono congiunti da curve, chiamate isobare.


Cella di Ferrel
Tra la fascia anticiclonica intetropicale e quella polare si inserisce una fascia ciclonica detta cella di Ferrel (tra i 35 e il 60° N/S). Questa cella si origina dai venti in risalita dalle aree subtropicali che contrastano con quelli in discesa dal polo. La deviazione esercitata dalla rotazione terrestre favorisce moti vorticosi e l'approfondimento dei cicloni temperati a noi più noti.


Cella di Hadley
Tutti gli appassionati di meteorologia hanno sicuramente sentito nominare il signor Hadley e ciò che ha fatto per la conoscenza dei processi che avvengono nell'atmosfera.
Questo illustre scienziato inglese del 18° secolo, ricercando quale possa essere l'origine dei venti alisei (quei venti costanti che soffiano entro la fascia intertropicale convergendo dai due emisferi in prossimità dell'equatore), ha ideato un modello che riesce a spiegare questi movimenti, allora misteriosi, delle masse d'aria.
Questo suo modello si basa sul semplice concetto di trasporto di calore da una superficie calda ad una più fredda attraverso un fluido: nel caso in questione il fluido è costituito dall'atmosfera, la fonte di calore è il sole, la superficie calda è la fascia equatoriale mentre quelle fredde sono le calotte polari.
Per tentare di bilanciare il divario termico tra le diverse latitudini l'aria equatoriale, sottraendo calore al suolo surriscaldato dal sole, sale in quota (fino a circa 16 km di altitudine) per poi dirigersi nei due emisferi verso i rispettivi poli dove ridiscende fino al suolo; dai poli, per chiudere il ciclo, l'aria al suolo è costretta a convergere nuovamente verso l'equatore: ecco spiegata l'origine degli alisei.
Attraverso questo modello non si spiega, invece, il motivo per cui questo genere di circolazione avvenga solamente nella fascia intertropicale; infatti manca un elemento fondamentale: la rotazione terrestre. Il moto di rotazione della Terra genera la deviazione delle masse d'aria in moto: nell'emisfero nord l'aria viene deviata verso destra mentre nell'altro emisfero la deviazione avviene verso sinistra. A causa di ciò l'aria che viene riscaldata all'equatore e sale in quota non si dirige più in linea retta verso i poli ma devia verso oriente raggiungendo, al massimo, i 30° di latitudine per poi discendere al suolo e convergere verso l'equatore chiudendo il ciclo. Questa circolazione atmosferica prende il nome di CELLA (o cellula) DI HADLEY e risulta di fondamentale importanza nell'ambito della circolazione generale atmosferica, nonché nella comprensione delle varie tipologie di clima e habitat della zona torrida: dal quello caldo umido con foreste pluviali dell'equatore, a quello arido con immensi deserti dei tropici.
Simone Abelli - Centro Epson Meteo

 
  

Ciclone
In meteorologia il ciclone è quella figura barica (cioè riguardante la pressione) caratterizzata da isobare chiuse concentriche, aventi un minimo nel centro ed in cui le masse d'aria si muovano in senso antiorario rispetto al centro nell'emisfero settentrionale, in senso orario nell'emisfero meridionale.
Questo è ciò che hanno in comune tutti i cicloni, i quali però si posson dividere in varie categorie a seconda della grandezza, durata e genesi che li caratterizza. Distinguiamo perciò i cicloni in permanenti, extratropicali o mobili, termici, orografici e tropicali.
I cicloni permanenti sono determinati dalla circolazione generale dell'atmosfera, e non sono altro che una fascia permanente di bassa pressione intorno ai 60° di latitudine: a questi appartengono ad esempio il Ciclone d'Islanda o il Ciclone delle Aleutine.
I cicloni extratropicali, o mobili, sono quelle depressioni mobili associate allo sviluppo di sistemi frontali: rappresentano il tipo di depressione più comune alle medie latitudini, hanno un diametro medio di 500-2000 Km, ed un ciclo di vita che va dai 3 ai 15 giorni.
Sia i cicloni permanenti che quelli extratropicali sono caratterizzati da aria più fredda di quella circostante, e si estendono fino alla troposfera.
I cicloni termici si originano per il forte riscaldamento di alcune aree rispetto a quelle circostanti: ad esempio le depressioni che nelle giornate si formano sulla terraferma rispetto al mare, oppure sui rilievi rispetto alle zone di pianura. Sono responsabili delle brezze marine e montane. Questi cicloni sono costituiti da aria più calda di quella circostante e la circolazione ciclonica si interrompe tra i 2000 ed i 4000 m di quota, per esser qui sostituita da circolazione anticiclonica.
I cicloni orografici sono le aree di bassa pressione che si generano sottovento ad una catena montuosa investita perpendicolarmente da forti correnti d'aria.
Più spazio dedichiamo ai cicloni tropicali, quelli forse più conosciuti, e sicuramente più temuti, per i loro devastanti effetti: hanno diametro che va dai 300 ai 1500 Km, un ciclo di vita tra i 3 ed i 15 giorni, sono accompagnati da piogge torrenziali e, nella fascia tra 30 e 60 Km dal loro centro, da venti che soffiano a 150-200 Km orari. Il nome con cui vengono indicati cambia a seconda dell'aria geografica in cui si originano o su cui si abbattono: Tifone nel Pacifico Occidentale, Uragano nel Nord America, Ciclone nell'Oceano Indiano, Willy-Willy in Australia. La loro immensa energia è dovuta alle grandi quantità di calore rilasciate nell'atmosfera dalla condensazione di enormi quantità di vapor acqueo, il quale viene sottratto agli oceani della fascia tropicale dall'intenso riscaldamento solare. Infatti, quando la superficie dell'oceano supera i 25°C, l'aria degli strati più bassi, surriscaldata dall'acqua, diviene più leggera di quella circostante ed è sospinta verso l'alto, condensando così sotto forma di nubi l'elevato contenuto in vapore. Si forma così un muro di nubi, mentre la grande quantità d'aria pompata verso l'alto fa sì che si generi una profonda depressione, la quale richiama aria calda ed umida dalle zone circostanti.
Queste nuove masse d'aria, costrette a sollevarsi in prossimità del muro di nubi, contribuiscono ad alimentare il ciclone, mentre la rotazione terrestre imprime a tutto il sistema il classico moto rotatorio.
Parte dell'aria risucchiata nell'occhio del ciclone ricade verso la zona centrale e, riscaldandosi per compressione nel moto di discesa, dissolve le nubi in formazione: ecco perché nel centro del ciclone una zona di 15-30 Km di diametro, appunto l'occhio del ciclone, risulta sgombra da nubi e caratterizzata da venti poco intensi.
I cicloni tropicali si sviluppano tra i 5° ed i 20° di latitudine, dove il riscaldamento delle acque oceaniche è maggiore, ma non nelle zone prossime alla fascia equatoriale: qui difatti sono trascurabili gli efetti della rotazione terrestre, e vien perciò a mancare la spinta necessaria ad imprimere alle masse d'aria il caratteristico moto rotatorio attorno al centro di bassa presione.
Andrea Giuliacci - Centro Epson Meteo
 
 


Cicloni Extratropicali
Tutti conoscono bene la differenza di insolazione che passa tra equatore e poli. La differenza di temperatura tra aree equatoriali e calotte polari determina la formazioni di tre grandi blocchi di aria omogenea: due sulle calotte polari , freddi e poveri in umidità e uno tra i due tropici caldo e ricco di vapore acqueo. L'atmosfera non è altro che un enorme macchina termica che provvede al trasporto di calore dall'Equatore verso i Poli. Come ciò avvenga e le conseguenze di tutto questo sono in fondo abbastanza singolari.
La linea di demarcazione, al suolo, tra aria tropicale e polare viene detta fronte polare. Ora il fronte, in realtà non è una rigida ed immobile barriera, ma a causa delle forzate e improvvise deviazioni di percorso introdotte dalle catene montuose, o dall'alternarsi di oceani e continenti, risulterà piuttosto una linea percorsa da ampie ondulazioni prodotte da spinte alternate dell'aria tropicale verso nord-est e dell'aria polare verso sud-ovest. Avremo, così, che sul lato destro della cresta dove l'aria calda sale verso latituni maggiori si creerà un fronte caldo, mentre a sinistra dove è invece l'aria fredda a premere avremo un fronte freddo.
Le ondulazioni, una volta innescatesi, tendono a divenire man mano più ampie, e ai vertici delle lingue calde, l'aria comincerà ad invorticarsi in senso antiorario e ad innalzarsi costretta dall'aria fredda più densa: si creerà, in tal modo, un vortice depressionario. A tali depressioni che si muovono alle medie latitudini, nella fascia delle correnti occidentali, viene dato il nome di cicloni extratropicali, o anche di depressioni mobili, per distinguerli dalle depressioni stazionarie della fascia equatoriale o del circolo polare.
Le depressioni originate dalle ondulazioni del fronte polare si presentano quasi sempre in gruppi da 3 a 5 membri, in cui ogni ciclone della famiglia scorre a latitudini sempre più basse di quello che lo precede. L'ultimo della serie è seguito da un anticiclone (al vertice della lingua d'aria fredda si produrrà, specularmente a quanto avviene per l'aria calda, un'alta pressione), anch'esso mobile, detto di chiusura, al quale è associata una consistente irruzione di aria fredda verso le basse latitudini.
I cicloni extratropicali che interessano l'Europa si originano in aree abbastanza precise, ove il contrasto termico dell'aria tropicale che sale e di quella polare in discesa è più marcato. Normalmente tali zone, dette ciclogenetiche (cioé di formazione dei cicloni), si identificano con l'Isola di Terranova, le coste meridionali della Groenlandia e le zone circostanti l'Islanda. Tuttavia ha grande influenza sull'origine e sul successivo moto delle famiglie di cicloni extratropicali la posizione relativa delle aree depressionarie fisse del nord Atlantico e dell'Anticiclone delle Azzorre.
Il maltempo sull'Italia non è portato solo da questo tipo di perturbazioni; anzi, molto spesso sono depressioni che si originano all'interno del Mediterraneo a portare la pioggia sulla nostra penisola, ed anche in abbondanza.
Il Mediterraneo è una culla ideale per la formazioni di depressioni mobili e sistemi frontali del tutto simili a quelli che nascono in seno al fronte polare. Infatti, mediamente le acque superficiali del Mediterraneo superano di circa 4°C quelle dell'oceano alla stessa latitudine: avviene così che le irruzioni di aria fredda, più probabili in autunno e primavera, producano quel contrasto termico sufficiente all'innescarsi di un ciclone. Tipiche a tale riguardo sono le depressioni che si sviluppano in prossimità delle Isole Baleari e lungo le coste del Nordafrica.
Un'altro esempio caratteristico delle depressioni che interessano l'Italia sono i cicloni di origine orografica: vale a dire quelle aree di bassa pressione che si generano sottovento alle catene montuose quando queste vengono investite perpendicolarmente da veloci correnti. Il riferimento è ovviamente alla depressione che si crea sul Mar Ligure quando le Alpi centro-occidentali sono interessate da forti correnti di maestrale. Questo tipo di configurazione barica è particolarmente significativo, in quanto determina piogge,anche molto abbondanti, sulle regioni dell'alto e medio Tirreno.
Dmitrij Toscani - Centro Epson Meteo
 

Cicloni termici
Uno dei possibili meccanismi in grado di generare un'area di bassa pressione in una porzione di atmosfera è il diverso riscaldamento della superficie terrestre da parte dei raggi solari.
La zona equatoriale, ad esempio, è caratterizzata dalla costante presenza di basse pressioni che formano una sorta di cintura attorno al globo resa visibile, attraverso le immagini dei satelliti meteorologici, dalle imponenti nubi cumuliformi che vi si sviluppano quotidianamente; infatti la cosiddetta Zona Torrida, compresa tra i due tropici, risulta essere l'area maggiormente riscaldata della Terra e le depressioni che si formano al suo interno sono dovute proprio all'eccesso di energia termica capace, fra l'altro, di innescare poderosi moti ascensionali dell'aria che sono strettamente legati alla circolazione generale dell'atmosfera.
Ma per quale motivo questo meccanismo provoca un abbassamento della pressione? La spiegazione è piuttosto semplice.
La pressione atmosferica in un qualsiasi punto della superficie terrestre è prodotta dal peso della colonna di aria sovrastante; se in quel punto l'aria viene scaldata si verifica un calo della sua densità: in pratica, a parità di volume occupato, l'aria pesa di meno. Nello stesso tempo, a causa del fatto che tra due fluidi mescolati quello più leggero tende ad occupare i livelli superiori e viceversa, si genera un moto ascensionale dell'aria la quale, raggiunta la sommità, diverge spostandosi definitivamente da quella verticale. Facendo i conti l'aria che sfugge dall'alto va a sottrarsi all'intera colonna sottostante; risultato: sopra quel punto meno quantità d'aria, meno peso e quindi pressione inferiore rispetto alle zone adiacenti. Una caratteristica peculiare di queste strutture bariche è che, a differenza dei cicloni di origine dinamica (come quelli che interessano normalmente l'Italia), ai livelli superiori si genera un'area anticiclonica: infatti, come si è detto, sopra la colonna l'aria diverge proprio come all'interno delle alte pressioni.
Le dimensioni tipiche di tali strutture vanno dalle centinaia alle migliaia di chilometri; di conseguenza si comportano come tutte le aree cicloniche con i movimenti dell'aria a spirale attorno al centro. Per tale motivo vengono chiamati CICLONI e, siccome sono generati dal riscaldamento solare, si definiscono TERMICI.
Monsoni e brezze sono fenomeni a scale differenti causati da questo stesso meccanismo: nella stagione calda (per i monsoni estivi) o durante le ore più calde del giorno (per le brezze diurne) la terraferma o la cima dei monti si scalda maggiormente rispetto al mare o al fondovalle; di conseguenza, su queste aree, si crea una bassa pressione in grado di risucchiare aria dal mare o dalla valle.
Nel caso del monsone estivo la grande quantità d'aria umida richiamata dall'oceano provoca la famosa stagione delle piogge; si hanno esempi eclatanti nel sud-est asiatico. In maniera inversa si riscontrano i medesimi meccanismi durante la stagione fredda per i monsoni e nella notte per le brezze, quando il mare o il fondovalle risultano più caldi della terraferma o la cima dei monti.
Simone Abelli - Centro Epson Meteo


Circolazione generale dell'atmosfera
L'inclinazione dell'asse di rotazione terrestre rispetto al piano dell'orbita apparente che il Sole compie intorno alla Terra in un anno, fa sì che le zone equatoriali ricevano durante l'anno una quantità di calore dal Sole superiore a quella riemessa verso lo spazio.
Al contrario ai Poli il bilancio tra calore ricevuto e calore perso è negativo. Sulla base di queste indicazioni, si potrebbe arrivare a concludere che la temperatura media all'Equatore è in continuo aumento, mentre ai Poli è in graduale diminuzione. Invece tutto ciò non accade: la temperatura media all'Equatore o ai Poli non presenta una netta tendenza all'aumento o al calo (negli ultimi 50 anni si è in realtà misurato un rialzo della temperatura media del nostro pianeta di qualche frazione di grado, ma lo si tende a collegare all'effetto serra). Questo significa che deve esistere un metodo per ridistribuire il calore che la Terra riceve dal Sole.
Gli oceani e l'atmosfera sono i due mezzi tramite i quali il calore viene trasportato dalle zone equatoriali a quelle polari. Vediamo in questo paragrafo il contributo dell'atmosfera.
Il primo modello che cercò di spiegare come avviene tale trasporto è noto come circolazione di Hadley, dal nome del fisico che per primo lo introdusse nel 1735. In tale modello si fa l'ipotesi di poter trascurare la rotazione terrestre, che, come vedremo più avanti, comporta in realtà sostanziali variazioni al modello di Hadley.
Il calore assorbito dalla Terra intorno all'Equatore scalda le masse d'aria soprastanti, le quali, dilatandosi, diventano meno dense, più leggere e salgono verso le alte quote della troposfera. Questa risalita d'aria genera alle basse quote una zona di bassa pressione, mentre in quota l'apporto di aria dagli strati sottostanti crea una zona di alta pressione.
Ai Poli invece il bilancio termico negativo genera un raffreddamento dell'aria che, più densa, si porta dagli strati superiori, dove si crea una zona di bassa pressione, verso il suolo, dove al contrario si genera un'alta pressione. Quindi al suolo masse d'aria fredda vengono spinte dall'alta pressione polare verso la bassa pressione equatoriale, mentre in quota aria calda viene spinta dalle alte pressioni equatoriali verso le basse pressioni polari. Questo modello teorico è sì in grado di spiegare la ridistribuzione del calore, ma non rispecchia ciò che accade nella realtà, dove non si osserva una circolazione delle masse d'aria tra i Poli e l'Equatore lungo i meridiani, come descritto. La rotazione terrestre ha infatti l'effetto di deviare verso destra le masse d'aria in movimento nell'Emisfero Boreale e verso sinistra quelle nell'Emisfero Australe (in fisica questa spinta verso destra o sinistra prende il nome di forza di Coriolis).
La deviazione delle masse d'aria dà all'atmosfera terrestre una dinamica differente da quella prevista da Hadley, dinamica che va sotto il nome di circolazione generale dell'atmosfera. Così le masse d'aria, dopo essere salite in quota all'Equatore, non riescono ad arrivare fino ai Poli: intorno ai 30° di latitudine riscendono verso il suolo, dando origine a una fascia di alte pressioni subtropicali, in corrispondenza delle quali si trovano i deserti più estesi del pianeta. Intorno ai 60° gradi di latitudine si trova invece una fascia di basse pressioni, dove l'aria sale fino alle quote superiori, per poi raggiungere i Poli.
A questa fascia di basse pressioni appartiene ad esempio il Ciclone d'Islanda, che è tra i principali responsabili delle condizioni meteorologiche sull'Europa. Questo modello, che rispetto al quello di Hadley trova effettivamente riscontro nelle osservazioni, non va però inteso come immobile: quella descritta è solo una situazione media. Non è infatti raro che il Ciclone d'Islanda si spinga con profonde saccature fino alle latitudini del Mediterraneo o che l'Anticiclone delle Azzorre raggiunga le isole britanniche.
Paolo Corazzon - Centro Epson Meteo


Clima
Insieme delle condizioni atmosferiche caratteristiche di una regione. Tali condizioni possono essere normali o anormali. Il clima si puo' dividere, secondo la sua caratteristica principale, in: freddo, caldo, secco, umido, temerato, marittimo, continentale, tropicale ...


Condensazione
Le nubi del cielo così come le nebbie e le brine devono la loro origine al fenomeno della condensazione. Una massa d'aria può condensare per due motivi: o per immissione di vapore acqueo o per raffreddamento. Quasi tutti i giorni abbiamo davanti ai nostri occhi esempi di condensazione di entrambi i tipi.
La formazione della nuvolosità è uno di questi. Le nubi si formano sostanzialmente per sollevamento di masse di aria che può verificarsi per diversi motivi; in ogni caso il sollevamento comporta un raffreddamento dell'aria ed è questo che provoca la condensazione. Infatti, man mano che la temperatura dell'aria in ascesa diminuisce, è minore anche la quantità di vapore che può essere contenuta nella massa d'aria fino a che non vengono raggiunte le condizioni di saturazione: il vapore acqueo presente è il massimo che la massa d'aria può contenere.
Se la temperatura si abbassa ancora, il vapore incomincia a condensare ed inizia così la formazione della nube. Anche la nebbia per irraggiamento si forma a causa del raffreddamento degli strati di aria prossimi al suolo; infatti, durante la notte, il suolo perde calore per irraggiamento raffreddandosi. Il conseguente abbassamento di temperatura dell'aria innesca il processo di condensazione descritto sopra.
È possibile, inoltre, che si formino nebbie per sollevamento delle masse d'aria lungo pendii, oppure quando una massa d'aria calda si sposta su una superficie più fredda. In ogni caso è sempre il raffreddamento dell'aria e la conseguente saturazione a provocare il fenomeno.
Per lo stesso motivo si forma la rugiada: si tratta di condensazione dell'acqua sopra la vegetazione che riveste il suolo, soprattutto nelle notti serene, quando il raffreddamento è maggiore. Quando il suolo si raffredda molto fino a temperature al di sotto di quella di congelamento dell'acqua si può avere la formazione di cristalli di ghiaccio sopra le superfici ossia la brina.
Come accennato, anche l'immissione di vapore può provocare la condensazione, senza, quindi, che la temperatura dell'aria diminuisca. Un esempio di ciò sono le nebbioline che si possono osservare su terreni molto umidi, ad esempio dopo giorni di pioggia: il suolo fornisce vapore in grande quantità agli strati d'aria adiacenti ad esso, al punto che l'elevato contenuto di acqua allo stato gassoso produce saturazione. Anche masse d'aria su distese d'acqua, in particolari condizioni, possono arricchirsi di vapore e condensare.
Michele Maddalena - Centro Epson Meteo


Coriolis (forza di)
Per tutti gli appassionati è un passaggio obbligato: quando la curiosità per i fenomeni atmosferici ci porta a leggere un manuale di meteorologia ecco comparire il nome di questo signore (da leggere alla francese, con l'accento sulla i finale) e la sua forza misteriosa.
La forza di Coriolis è necessaria per descrivere i fenomeni fisici in un sistema che ruota, nel nostro caso, la Terra; insieme alla forza centrifuga essa è una di quelle forze (talora chiamate 'apparenti') che si originano nei sistemi di riferimento soggetti a rotazione o a variazioni di velocità, come la giostra o l'automobile. Il motivo per cui la forza di Coriolis ci è assai meno familiare della forza centrifuga, che sperimentiamo tutti i giorni, è solo che essa è troppo debole per essere avvertita dal nostro corpo mentre corriamo a andiamo in automobile.
Qualitativamente, si può intuire l'origine di questa forza con il seguente esperimento mentale: stiamo osservando dallo spazio un proiettile sparato dal polo Nord verso l'equatore, e immaginiamo di osservare la rotazione terrestre, che sotto di noi avviene in senso antiorario. Poiché il proiettile non è vincolato alla superficie esso giungerà, per noi senza sorpresa, a destra del bersaglio verso cui era stato lanciato; invece, per chi è rimasto a terra, è come se un filo invisibile avesse a poco a poco curvato la sua traiettoria. Se ripetessimo l'esperimento in maniera simmetrica nell'altro emisfero, guardando dal polo Sud, troveremmo che il colpo ha mancato il bersaglio perché deviato a sinistra. Nella pratica noi descriviamo i fenomeni atmosferici con un sistema di riferimento solidale con il pianeta, non da un punto fisso dello spazio, ed ecco spiegato perché è comodo introdurre la forza di Coriolis, un filo invisibile che modifica il moto dei proiettili, ma anche delle masse d'aria. Si può dimostrare matematicamente che la forza di Coriolis cambia segno nei due emisferi, che la sua intensità è direttamente proporzionale alla velocità dei corpi, ed infine che essa vale zero all'equatore, per diventare massima ai poli.
I moti delle masse d'aria sono profondamente influenzati dalla forza di Coriolis, specie alle medie ed alte latitudini: cicloni e depressioni extra-tropicali esistono perché la forza deviante tende continuamente a bilanciare la forza di gradiente (dovuta alle differenze di pressione): dove la forza deviante è più intensa, vicino ai poli, si formano le depressioni più profonde. Di più, gran parte della dinamica dell'atmosfera, può essere interpretata come un continuo gioco di equilibrio tra le forze di pressione e la forza di Coriolis: quando questo equilibrio viene meno nascono i moti verticali, quindi le perturbazioni e tutto quello che ne consegue (per questi argomenti vedere i capitoli sul vento geostrofico, sulla forza di gradiente)
Concludiamo con una curiosità: la forza di Coriolis non influenza solo le traiettorie delle masse d'aria; alle alte latitudini l'azione continua della forza deviante fa sì che le ruote dei treni consumino di più la rotaia di destra.
Lorenzo Danieli - Centro Epson Meteo


Correnti in quota
Termine generalizzato per i movimenti dell’aria ad una quota di circa 5.500m (500 hPa). Con le correnti in quota è possibile descrivere una situazione meteorologica a grande scala.


Dew Point (punto di rugiada)
L'umidità relativa consente la conoscenza di quanto sia prossima la saturazione, ma non serve a fornire direttamente l'effettiva quantità di vapore acqueo presente nell'atmosfera.
In meteorologia, invece, è molto utile conoscere l'effettiva quantità di vapor acqueo, per prevedere più accuratamente l'arrivo di una perturbazione o la formazione delle nubi. La temperatura del punto di rugiada fornisce questa informazione in modo diretto.
Il punto di rugiada è espresso in °C e, pur essendo dimensionalmente una temperatura, non influisce sulla effettiva temperatura dell'aria che normalmente è più alta del punto di rugiada.
Per definizione diciamo quindi che il punto di rugiada è il valore di temperatura (in °C) a cui l'aria dovrebbe essere raffreddata (a pressione costante) per raggiungere il 100% di umidità relativa, ovvero, per saturarla di vapore. Lo scarto tra i valori di temperatura e il punto di rugiada indica il tasso d'umidità relativa dell'aria.


Evapotraspirazione
L'evapotraspirazione è una variabile o grandezza fisica usata in agrometeorologia. Consiste nella quantità d'acqua (riferita all'unità di tempo) che dal terreno passa nell'aria allo stato di vapore per effetto congiunto della traspirazione, attraverso le piante, e dell'evaporazione, direttamente dal terreno. È spesso indicata nei manuali con la sigla ET. Il concetto ingloba due processi nettamente differenti, in quanto l'evaporazione esulerebbe a rigore dalla coltura, tuttavia non è possibile attualmente scorporare i due fenomeni e trattarli distintamente in modo attendibile. D'altra parte ai fini pratici interessa il consumo effettivo sia per evaporazione sia per traspirazione. L'unità di misura è il mm (millimetro), inteso come altezza della massa d'acqua evaporata e traspirata, oppure il m³/ha (metro cubo ad ettaro). Essendo un fenomeno climatico inverso a quello delle precipitazioni, per convenzione si usa il millimetro in modo da rendere la grandezza direttamente comparabile con le precipitazioni. In ogni modo, tenuto conto che una massa liquida di 1 mm d'altezza che si estende su una superficie di 1 ha occupa il volume di 10 m³, 1 mm di evapotraspirazione equivale ad un consumo di 10 m³/ha. Gli ambiti di studio e d'applicazione sono diversi secondo il contesto: come indice dei consumi idrici delle colture è uno delle più importanti variabili utilizzate nella gestione razionalizzata dell'acqua irrigua; è una variabile utilizzabile per la comparazione del potere evaporante dell'atmosfera in ambienti fisicamente diversi oppure nello stesso ambiente in periodi differenti oppure nello stesso ambiente con colture differenti; è una variabile utilizzabile per valutare la vocazione di un comprensorio ad ospitare una determinata coltura. La misura diretta si effettua con i lisimetri di precisione. Si tratta di sofisticati e costosi impianti installati presso istituti di ricerca allo scopo di tarare altri strumenti di misura o metodi di stima basati sul rilevamento di altre variabili climatiche. I lisimetri hanno inoltre un limite operativo nel fatto che non consentono la misura diretta dell'evapotraspirazione in certi contesti come una piantagione arborea o una foresta. La stima dell'evapotraspirazione si basa sull'applicazione di formule matematiche che permettono il calcolo dell'evapotraspirazione in funzione di una o più variabili climatiche di facile rilevamento. In generale si tratta di metodi empirici più o meno approssimativi che non danno un'esatta percezione dell'evapotraspirazione ma che opportunamente tarati nel contesto in cui si applicano possono dare informazioni più semplici e immediate e, soprattutto, economicamente sostenibili rispetto alla misura diretta. Negli ultimi 60 anni sono state elaborate formule estimative poco adatte ai fini pratici. In definitiva si trattava di metodi tarati per contesti limitati e per rilevamenti ambientali adatti ad analisi temporali di medio e lungo periodo. In seguito, la FAO ha proposto adattamenti di questi metodi con l'applicazione di coefficienti correttivi che tengono conto di specifiche variabili climatiche. I metodi proposti dalla FAO stimano l'evapotraspirazione potenziale standard (ETPs).


Favonio
Vento caldo proveniente da ponente. In Italia normalmente e' presente nel nord-ovest, e quando spira tende a liberare il cielo dalle nubi.


Föhn (da nord)
Quando l’arco alpino è interessato da forti correnti da nordovest o da nord, sulla parte meridionale delle Alpi si manifesta il fenomeno del Föhn. Si tratta di un "vento di caduta" che porta a compressione adiabatica e conseguente netto abbassamento del tasso di umidita' delle masse d’aria. Le nuvole si dissolvono e l’atmosfera diventa molto limpida. In quota spira un forte e freddo vento da nord, in valle spesso un vento a raffiche relativamente caldo. Puo' talvolta essere un vento preparatore di neve.


Fronte caldo
Superficie di separazione di due masse d’aria: l’aria calda si muove nella direzione dell’aria fredda, sollevandosi. Gli effetti di un fronte caldo sono spesso nubi stratificate, precipitazioni in forma continua ed estesa e un riscaldamento dell’aria.


Fronte freddo
Superficie di separazione di due masse d’aria: l’aria fredda si spinge sotto l’aria più calda. Gli effetti di un fronte freddo sono nubi prevalentemente convettive (estese in verticale), precipitazioni a carattere di rovescio, un raffreddamento dell’aria e un rafforzamento del vento.


Gragnuola:
tipo di precipitazione. I chicchi di gragnuola si formano sempre per i ripetuti moti ascendenti e discendenti in una nube convettiva, che non presenta acqua liquida in nessuna parte. Perciò i chicchi sono formati da ghiaccio, con intrusioni di bolle d’aria.


Grandine
Alle nostre latitudini, dopo la tromba d'aria, il temporale è senza dubbio il fenomeno meteorologico più violento.
Le precipitazioni provocate dai temporali sono in genere molto abbondanti e talvolta alla pioggia si unisce la grandine (granelli di ghiaccio con diametro superiore a 5 millimetri). Ma come si formano i chicchi di grandine? All'interno del cumulonembo, nello strato di nube in cui la temperatura è compresa fra 0°C e -10°C, coesistono cristallini di ghiaccio e goccioline d'acqua sopraffuse, cioè rimaste allo stato liquido malgrado la temperatura negativa.
In queste condizioni particolari i cristalli di ghiaccio tendono ad accrescersi per processi di sublimazione (passaggio dallo stato di vapor acqueo a quello di ghiaccio) a spese delle goccioline di acqua che tendono invece ad evaporare. Questi piccolissimi granuli di ghiaccio, mantenuti all'interno della nube temporalesca da imponenti correnti ascendenti, collidono con le goccioline sopraffuse accrescendo ulteriormente le proprie dimensioni.
Se i moti convettivi sono deboli, i granuli di ghiaccio, una volta raggiunto l'apice della nube, dove le correnti ascendenti divergono, precipiteranno verso il suolo attraversando strati d'aria con temperatura relativamente elevata e raggiungeranno il terreno sotto forma di pioggia; se invece le correnti ascendenti sono intense, le particelle resteranno a lungo nella nube e gli intensi moti vorticosi in essa presenti, per molte volte ancora, li trasporteranno in alto, poi in basso e ancora verso l'alto, consentendo, ad ogni ciclo, la formazione di un nuovo rivestimento di ghiaccio.
Quando i chicchi di grandine saranno diventati tanto pesanti da non poter essere più sorretti dalle correnti ascendenti, precipiteranno violentemente verso il suolo con le conseguenze che tutti conoscono.
Come è possibile risalire all'età di una pianta contando gli anelli del tronco, è possibile risalire al numero di cicli che il granello è riuscito ad effettuare all'interno della nube contando i gusci concentrici di cui è formato. Se ne possono trovare anche più di una ventina.
In questa caratteristica "stratificazione a cipolla" si alternano strati di ghiaccio opaco (biancastro) a strati di ghiaccio trasparente; questi ultimi si formano nella zona della nube in cui sono presenti i moti ascendenti, dove cioè la quantità di goccioline sopraffuse è elevata, mentre gli strati biancastri, cioè ricchi di bolle d'aria, si formano nella regione in cui il chicco cade, cioè dove il contenuto d'acqua è meno abbondante.
Laura Bertolani - Centro Epson Meteo


Indice di Calore (Heat Index)
La sensazione di calore percepita nelle giornate calde dall’organismo dipende dal sistema principale di termoregolazione: la sudorazione. Il sudore è costituito principalmente da acqua e viene secreto dalle oltre tre milioni di ghiandole sudoripare sparse sull’epidermide. L’evaporazione del sudore sottrae calore alla pelle (si dice che l’evaporazione è un fenomeno endotermico) e quindi permette di abbassare la temperatura di tutto l’organismo.

L’umidità atmosferica interferisce con questo processo, poiché il vapore acqueo è già presente in soluzione nell’aria. L’evaporazione del sudore porterebbe nell’aria circostante altro vapore acqueo e questo può risultare difficile, in caso di umidità elevata, ma anche impossibile. Tipica è la situazione in cui si cerca di far asciugare il bucato di notte e lo si ritrova la mattina dopo più bagnato di prima.

Allo stesso modo l’organismo non riesce più a ben termoregolarsi dal momento che il processo della sudorazione viene ostacolato dall’umidità atmosferica: l’acqua presente nel sudore non evapora più a sufficienza e la temperatura della pelle non diminuisce più abbastanza. Da qui la sensazione di calore superiore alla temperatura reale, dovuta sia alla temperatura che all’umidità atmosferiche, a cui si aggiunge la fastidiosa sensazione del sudore che ristagna sulla pelle.

L’umidità di cui parliamo è l’umidità relativa dell’ambiente in percentuale sulla massima quantità di acqua che si può solubilizzare nell’aria ad una data temperatura. Per cui data una temperatura è determinabile la concentrazione massima di acqua nell’aria, da cui, misurando la quantità di acqua effettivamente presente si calcola una percentuale (l’umidità relativa, appunto); questa percentuale va quindi a influenzare la nostra percezione della temperatura e ci fornisce la temperatura effettivamente percepita dall’organismo, l’indice di calore.

Detto questo ci sono vari metodi di calcolare questa temperatura effettivamente percepita dall’organismo poiché esistono ipotesi e modelli differenti che legano temperatura e umidità relativa in una funzione che fornisce l’indice di calore. L’Heat Index si calcola ad esempio tramite la seguente formula

HI = -42.379 + 2.04901523T + 10.1433127R - 0.22475541TR - 6.83783×10-3 T2 - 5.481717×10-2 R2
+ 1.22874×10-3T2R + 8.5282×10-4 TR2 - 1.99×10-6 T2 R2

con T in gradi Fahrenheit ed R è l’umidità relativa.

Vengono quindi creati algoritmi semi-empiriche che non sono applicabili per qualsiasi intervallo di temperatura di umidità . Un modello di indice di calore estivo di solito ha senso applicarlo per temperature superiori ai 27°C e umidità relativa superiore al 40% (al di sotto della quale la temperatura effettiva ottenuta con l’indice di calore si più ritenere coincidente con la temperatura reale. Anche a temperature superiori ai 45°C o umidità relative superiori al 90% si hanno risultati con pochissima affidabilità .

Il sito per il calcolo dell’indice di calore con i modelli
Heat Index / Apparent Temperature (Steadman, 1979)
Summer Simmer Index (Pepi, 1987)
Humidex (introdotto originariamente in Canada, 1965)

formule per calcolo indici di calore

Tabelle dell’indice di calore Humidex e dell’indice di Thom (indice di disagio)

Ovviamente anche la sensazione di freddo è accentuata da una elevata umidità , ma il fenomeno che più influenza questa sensazione è quello dovuto all’effetto raffreddamento del vento, il cosiddetto windchill.




Instabilità
Durante la stagione primaverile, seguendo le previsioni meteorologiche in televisione o leggendo i bollettini meteo su riviste e quotidiani, sovente capita di sentir parlare di instabilità pomeridiana: ma cos'è questa famigerata instabilità? E perché puntualmente torna a far capolino con la primavera, dopo un apparente "letargo invernale"?
Per instabilità si intende, in meteorologia, il fenomeno per cui masse d'aria a quote differenti tendono a rimescolarsi: solitamente aria più calda rispetto a quella circostante tende a sollevarsi, lasciando così spazio ad aria più fredda in discesa dagli strati superiori. Perché possa verificarsi questo fenomeno è però necessaria una certa differenza di temperatura tra gli strati d'aria più bassi e quelli più alti. Quanto più è calda l'aria negli strati inferiori rispetto a quella in quota, tanto maggiore sarà l'instabilità che si crea. Perché dunque questo fenomeno torna a presentarsi con frequenza solo a partire dalla stagione primaverile? Perché proprio con la primavera le masse d'aria fredda in arrivo dall'Atlantico scorrono su un suolo maggiormente riscaldato rispetto al periodo invernale: l'aria si scalda così dal basso, dando quindi luogo al fenomeno dell'instabilità, proprio come in una pentola, dove l'acqua a contatto con il fondo della pentola si scalda e sale.
Ma è così importante questa instabilità? Per rispondere basta segnalare che questo fenomeno è una delle principali cause di formazione di nubi e rovesci in primavera ed estate.
Andrea Giuliacci - Centro Epson Meteo

Una massa d'aria si dice instabile quando al suo interno si creano correnti ascensionali o convettive. La presenza di queste correnti è uno degli elementi più importanti per la formazione di nubi cumuliformi (cumuli e cumulonembi), alle quali possono essere associate piogge anche di forte intensità. Per un meteorologo quindi individuare una condizione di instabilità permette di prevedere lo sviluppo di nubi cumuliformi ed eventualmente il verificarsi di temporali o rovesci.
Per farlo, il meteorologo ha a disposizione alcuni indici fisico-matematici, elaborati dai centri meteorologici mondiali che riescono a quantificare il grado di instabilità di una massa d'aria partendo dalle sue caratteristiche fisiche (temperatura, umidità,…) e dalle condizioni meteorologiche (venti, pressione atmosferica, andamento della temperatura dell'aria con l'altezza,…).
In realtà ci sono anche altri sintomi tipici dell'aria instabile che chiunque può utilizzare per riconoscere il grado di stabilità o instabilità dell'aria.

Sono, ad esempio, sintomi di instabilità questi fattori:
- presenza di nubi cumuliformi;
- vento in intensificazione nelle ore più calde della giornata;
- brezze molto attive sin dal primo mattino;
- il fumo in uscita dai camini o dalle ciminiere ha aspetto serpeggiante.

Al contrario sono sintomi di stabilità:
- presenza di nubi stratiformi;
- venti deboli e brezze quasi assenti;
- il fumo in uscita dai camini forma una lunga scia orizzontale;
- le città sono ricoperte da un sottile strato di caligine.

Oltre a questi fattori, il contributo del riscaldamento solare aumenta il livello di instabilità e può diventare l'elemento determinante per lo sviluppo di nubi torreggianti e di temporali: nelle ore pomeridiane e serali di una calda giornata primaverile o estiva, il suolo si scalda molto e trasmette il calore agli strati d'aria a diretto contatto. Questi si scaldano, si dilatano e iniziano a salire nell'atmosfera; se la temperatura della bolla d'aria in risalita rimane più alta di quella degli strati di atmosfera che sta attraversando, l'ascesa continua e si può arrivare con facilità alla formazione di nubi temporalesche. Ecco perché un altro fattore determinante per l'individuazione del grado di instabilità dell'atmosfera è l'andamento della temperatura con l'altezza. In vari aeroporti italiani e mondiali ogni giorno per più volte al giorno vengono lanciati palloni sonda in grado di misurare la temperatura dell'aria a vari livelli fornendo così ai meteorologi un elemento in più per prevedere i soliti "imprevedibili" temporali.
Paolo Corazzon - Centro Epson Meteo


Inversione termica (questa sconosciuta)
E' l'inversione della normale variazione dell'andamento della temperatura negli strati bassi dell'atmosfera. Salendo di quota, anziché diminuire, la temperatura aumenta. Questo fenomeno può verificarsi fino a una quota variabile generalmente da poche centinaia di metri a oltre 1000 metri ed è tipico dei fondovalle e delle pianure. La sua frequenza e' maggiore in situazioni di alta pressione, ad esempio durante le notti stellate e invernali quando l'irraggiamento notturno è più accentuato. E' una delle cause principali per la formazione della nebbia, e la si puo' notare chiaramente dai colli o dalle montagne sotto forma di uno strato di foschia, al cui interno rimangono gli elementi inquinanti. Tende a scomparire quando si verificano delle precipitazioni, poiche' queste livellano le temperature e le riportano al loro normale andamento (una diminuzione di circa 0,6° ogni 100 metri di quota in piu'). Talvolta l'inversione termica puo' verificarsi a quote piu' elevate, anche se in misura molto piu' ridotta.


Isobare
Linee che uniscono punti contigui ad uguale pressione atmosferica.



Isoipse
In meteorologia è frequente sentire frasi del tipo "La situazione a 850 ettopascal…" oppure "Osservando la temperatura a 500 ettopascal…". Ma cosa sono questi 850 o 500 ettopascal? Se le stesse frasi fossero tramutate in "La situazione a 1500 metri di quota…" e "Osservando la temperatura a 5500 metri…" tutto filerebbe liscio. Ecco, senza addentrarci troppo nella questione, è sufficiente sapere che alle espressioni tipo 850, 700, 500 ettopascal si possono associare effettivamente delle quote, delle altitudini. In realtà, per essere più precisi, l'ettopascal è un'unità di misura della pressione; ma con l'espressione "a 850 ettopascal" si intende "alla quota a cui la pressione atmosferica vale 850 ettopascal".
Nelle mappe meteorologiche tale quota è rappresentata tramite una grandezza detta altezza di geopotenziale: essa è per definizione la quota alla quale la pressione atmosferica è pari a un determinato valore. Le linee che uniscono i punti in cui tale altezza di geopotenziale, assume lo stesso valore vengono dette isoipse. Si tratta di linee chiuse a ciascuna delle quali è associato un numero: tale valore rappresenta la quota alla quale ci si riferisce, espressa solitamente in metri o decametri. Ad esempio se in una "carta a 850 ettopascal" (cioè in una mappa nella quale il valore dei parametri rappresentati quali temperatura, venti, umidità è quello che essi assumono "alla quota di 850 ettopascal"), su una isoipsa si legge il valore 1500, significa che in tutte le località attraversate da quella linea la pressione di 850 ettopascal è raggiunta a un'altitudine di 1500. Se invece si legge un valore dell'ordine delle centinaia, ad esempio 150, significa che l'unità di misura utilizzata è il decametro: 150 decametri = 1500 metri.
Analogamente a quanto accade per le isobare al suolo, il valore delle isoipse non è importante in senso assoluto, ma in senso relativo. Nella ragnatela delle isoipse diventa così possibile individuare massimi e minimi, normalmente indicati con le lettere A e B oppure H e L (High, Low), proprio come nelle "carte al suolo" si individuano le zone di alta e bassa pressione racchiuse dalle isobare. Si può anche dimostrare che in quota l'aria si muove approssimativamente lungo le isoipse, lasciando alla propria destra valori più elevati e alla propria sinistra valori più bassi dell'altezza di geopotenziale. La rappresentazione delle isoipse nelle carte è quindi di fondamentale importanza per l'individuazione del movimento delle masse d'aria alle varie quote. In definitiva le isoipse in quota possono essere interpretate, a grandi linee, come le isobare al suolo.
Paolo Corazzon - Centro Epson Meteo



Isoterme
Linee che uniscono punti contigui ad uguale temperatura.



Jet Stream (corrente a getto)
Una corrente a getto (in inglese jet stream) è un flusso d'aria di sezione relativamente piccola, che fluisce velocemente; si forma nell'atmosfera terrestre alla quota di circa 11 km dalla superficie, appena sotto la tropopausa, in genere ai confini tra masse d'aria adiacenti con significative differenze di temperatura, come quella della regione polare e dell'aria più calda a sud.
Le principali correnti a getto sono venti zonali che fluiscono da ovest verso est sia nell'emisfero boreale che australe; questo è dovuto alla forza di Coriolis causata dalla rotazione della Terra. I percorsi dei flussi d'aria mostrano delle tipiche forme a meandro, e queste forme stesse si propagano verso est, a velocità minore dell'effettivo vento al loro interno.



Massa d'aria
Grande volume di aria, che si estende in orizzontale per più di 500 km e ha uno spessore di almeno 1 km.


Nebbia
Si parla di nebbia quando ci si trova all’interno di una nube e la visibilità è molto ridotta (meno di 1 km).


Neve
La formazione della neve, come peraltro quella della pioggia, è un fenomeno molto complesso.
Le nuvole sono costituite di microscopiche goccioline d’acqua (droplet) del diametro di 10-50 micron, formatisi dall’aggregazione di miliardi di molecole di H2O del vapore saturo o soprasaturo attorno a dei nuclei di condensazione costituiti da grani di pulviscolo atmosferico ( sale marino, solfati o nitrati), denominati nuclei di Aitken. Nelle nuvole a temperatura positiva, le gocce di pioggia (diametro 0,5- 0,2mm) si formano per urto reciproco (coalescenza) delle “droplet”. In quelle a temperatura negativa avvengono altri fenomeni:

  • Innanzitutto le goccioline d’acqua possono rimanere allo stato liquido (soprafusione) sino a circa – 40 °C (temperatura che troviamo di norma a partire dagli 8 Km di altezza).
  • Alcune impurità, dette nuclei di congelamento o germi di ghiaccio, hanno la capacità di coagulare (sublimare) il vapore d’acqua formando dei microscopici cristalli di ghiaccio.Tale effetto pare avere un massimo di efficacia nella parte della nube dove le temperature sono comprese tra –12 e – 17 °C.
  • La tensione di vapore di saturazione dell’acqua soprafusa è maggiore di quella del ghiaccio alla stessa temperatura con un massimo attorno i – 15 °C ( vedi fig. 1; attenzione la scala delle ordinate è logaritmica!) e quando l’aria è satura o soprasatura rispetto al liquido essa è maggiormente soprasatura rispetto al ghiaccio (ciò è dovuto al fatto che il passaggio dal solido al vapore, la sublimazione, richiede una energia superiore di quella richiesta dall’evaporazione). Ciò comporta un passaggio di molecole di vapore dall’ambiente al microcristallo, vapore in parte reintegrato dall’evaporazione delle goccioline d’acqua che vedono la loro massa ridursi mentre quella del cristallo aumenta (processo di Bergeron-Fidstein).
  • Dato che il grado di soprasaturazione dell'aria rispetto al ghiaccio può essere piuttosto elevato, la crescita dei cristallini, fino a delle dimensioni abbastanza grandi (qualche centinaio di micron) da farli cadere verso terra,. è in genere rapida.
  • Durante a loro caduta essi possono ingrandirsi ulteriormente urtando contro le goccioline soprafuse della nube, le quali congelano immediatamente sulla loro superficie (brinamento); il cristallo con questo processo può trasformarsi in una pallina di ghiaccio tenero (neve granulosa). I movimenti turbinosi dell'aria possono talora provocare la rottura del cristallo; i frammenti che ne derivano diventano a loro volta nuovi germi di ghiaccio innescando così una specie di reazione a catena che dà origine a numerosissimi nuovi cristalli, i quali, aggregandosi tra di loro vengono a formare i caratteristici fiocchi di neve.


Fig. 1 Tensione di vapore del ghiaccio e dell’acqua (soprafusa)

Se la temperatura dell'aria negli strati più bassi è > di 0°C su un sufficiente spessore, i fiocchi fondono e continuano la loro caduta sotto forma di gocce pioggia; in caso contrario raggiungono il suolo e, se questo è sufficientemente freddo, generano un accumulo di neve

Il primo scienziato che trattò dei cristalli di neve ponendosi delle domande sulla ragione della loro simmetria esagonale fu Keplero agli inizi del 600’. Nel 1635 Cartesio diede la prima descrizione di alcuni tipi di essi, assai accurata compatibilmente con il fatto di poterli osservare al più attraverso una semplice lente. Nel 1665 il fisico inglese Hooke pubblicò un grosso volume, intitolato “Micrografia”, contenente disegni di piccoli oggetti e di particolari, risultato di una enorme quantità di osservazioni fatte con il microscopio, da poco inventato. Tra questi figuravano vari tipi di cristalli di neve, con evidenziati dettagli che mai si erano visti prima. Nel 1931 i microfotografi americani W. A. Bentley e W.J. Humphreye diedero alle stampe un famoso volume : “Snow Crystals” contenente 2000 immagini di cristalli; tale opera, un classico è stato ristampata di recente. Ancora, negli anni 30’, il fisico nucleare giapponese Ukichiro Nakaya fece approfonditi studi sulla loro natura riuscendo anche a produrli artificialmente. Il suo fondamentale lavoro è stato pubblicato nel 1954 con il titolo “Snow Cristals: Natural and Artificial”

La morfologia.dei cristalli di neve è determinata sopratutto dall’ambiente (grado di soprasaturazione, temperatura) dove si sviluppano, secondo lo schema indicato qui sotto:


Fig. 2 Morfologia dei cristalli neve in funzione delle condizioni ambientali
(temperatura e soprasaturazione rispetto al ghiaccio)

Tali morfologie sono state classificate nel 1951 dalla Commissione Internazionale della Neve e del Ghiaccio come indicato in figura 3 . Vi si evidenziano 7 tipi principali: a piastre (plates), a stelle (stellar crystals), a colonne (columns), ad aghi (needles), a dentriti spaziali (spatial dentrites), a colonne a cappello (capped columns), ed a forma irregolare (irregular particles), cui si aggiungono tre tipi di precipitazione ghiacciata: neve granulosa friabile (graupel), gragnuola (ice pellets) e grandine (hail).


Nubi
Una nuvola, o nube, e' una massa visibile di piccole goccioline o cristalli di ghiaccio sospesi nell'atmosfera, sopra la superficie terrestre.
Le nubi sono costituite di vapore acqueo, che, condensandosi, forma piccole goccioline d'acqua o cristalli di ghiaccio della dimensione da 1 a 100 micron (solitamente di solitamente di 0,01 mm di diametro). Si formano per condensazione: quando l'acqua terrestre evapora, si trasforma in vapore acqueo che risale nell'atmosfera raffreddandosi, per condensarsi attorno a piccole impurita' (cristalli di sale marino, particelle di polvere...) generando cosi' goccioline d'acqua o cristalli di ghiaccio.
Questi elementi rimangono sospesi nell'aria sostenuti in movimento verso l'alto, possono evaporare e riformarsi, la loro velocita' di caduta e' di millimetri al secondo, quindi impercettibile e la quantita' d'acqua condensata non supera il grammo per metro cubo di vapore acqueo. Le quantita' variano secondo l'estensione verticale ed orizzontale delle nuvole.
Quando si formano agglomerati di miliardi di goccioline, appare visibile la nuvola, di un tipico colore bianco, dovuto all'alta riflessione della luce (fra il 70% e il 95%) sulla superficie di queste goccioline. Molto spesso, tuttavia, le nuvole dense appaiono grigie; questo fenomeno e' dovuto all'alta dispersione della luce delle goccioline che la compongono, e cosi' l'intensita' della radiazione solare diminuisce con la profondita' nella nube, da cio' il colore grigio, o talvolta anche piu' scuro, alla base della nuvola.All'alba e al tramonto, le nuvole posso assumere la colorazione del cielo, soprattutto arancione e rosa. Attorno alla lunghezza d'onda dell'infrarosso, le nuvole apparirebbero piu' scure perche' l'acqua che le costituisce assorbirebbe fortemente la luce solare a questa lunghezza d'onda.

Formazione delle nuvole
Il complesso fenomeno della formazione delle nubi puo' essere cosi' riassunto:
in seguito all'irraggiamento solare, la temperatura della superficie terrestre aumenta e per conduzione termica si scalda anche l'aria a contatto con essa; poiche' l'aria calda e' piu' leggera, questa si solleva in una corrente ascensionale, portando con se' l'umidita' contenuta (ovvero il vapore); salendo, l'aria si raffredda adiabaticamente (adiabatica e' la velocita' con cui una massa d'aria secca che si muove verticalmente si scalda o si raffredda. Corrisponde a circa 1°C ogni 100m), raggiungendo il punto di saturazione del vapore, il quale pertanto si trasforma in minuscole goccioline di acqua, che galleggiano nell'aria, formando per l'appunto le nubi. Se la temperatura e' particolarmente bassa, queste si trasformano in microscopici cristalli di ghiaccio.




Classificazione secondo la forma
Le nuvole hanno due forme caratteristiche, stratificate o a sviluppo verticale (dette anche cumuliformi).
Le due diciture derivano dal fatto che, all'occhio umano, l'estensione del corpo nuvoloso si presenta, nel primo caso, maggiore sul piano orizzontale e minore su quello verticale, mentre, nel secondo, l'estensione verticale della nube supera quella orizzontale.
    
Nubi stratificate Nubi a sviluppo verticale
Classificazione secondo il tipo
Nubi alte
sono nubi sottili composte di ghiaccio (cirri), a quote comprese fra 6000 e 12000 metri. Non riescono a coprire il sole, che splende quasi senza attenuazione. E' possibile la formazione di un alone, cioè di un circolo luminoso attorno al sole, posto a circa 22° di distanza.

Cirrostrati. nubi molto alte e sottili, biancastre e quasi trasparenti. Il sole è visibile (così come la luna) con un alone intorno.
Cirrocumuli. Sono formati da piccoli fiocchi o batuffoli bianchi disposti in file o gruppi; ricordano agli altocumuli, ma, ovviamente, sono più alti e sono sempre accompagnati da cirri e da cirrostrati.
Cirri. Sono formato da strie biancastre, sottili, quasi trasparenti, molto alte. La forma   e' facile da ricordare, infatti  è quella di una striscia terminante con un ricciolo  ad uncino. Sono formati da cristalli di ghiaccio a causa della temperatura molto bassa alla quale si formano. In genere indicano l'arrivo della pioggia
Cumulunembo. Nuvola a cavolfiore che produce temporali

Nubi medioalte

nubi più spesse (altostrati o altocumuli). Si trovano a quote comprese fra 3000 e 6000m. Talvolta il sole filtra attraverso le nubi, ma l’ombra in questo caso è solo debole.

Altocumuli. Sono banchi di nubi formati da tante piccole nubi cumuliformi, in gruppi o file, a volte anche saldate tra loro; è il classico cielo a pecorelle  (acqua a catinelle!).
Altostrati. Di aspetto simili agli strati, ma più spessi e più alti,  producono a volte  pioggia o neve. Il cielo biancastro ricorda una massa lattiginosa.


Nubi basse (addensamenti)

sono nubi che si trovano sempre in presenza di precipitazioni e di Stau. A volte si formano per inversione termica nelle valli. In questi casi in montagna, al di sopra delle nubi, splende il sole.

Stratocumuli. Sono di forma arrotondata, molto grossi, di apparenza morbida. 
Strati. Uniformi con la base opaca e grigia, sembra che il cielo sia pitturato di cenere
Nembostrati. Di aspetto scuro  provocano pioggia continua o neve.


Pioviggine
Si forma quando masse d’aria umida scorrono su un terreno freddo. La dimensione delle gocce è in genere molto ridotta.


Precipitazioni: intensità e accumulo
Per descrivere opportunamente un evento precipitativo si utilizzano solitamente due parametri: l'intensità e la quantità accumulata.
Nei resoconti delle osservazioni meteorologiche la quantità di pioggia caduta viene espressa in millimetri ed ogni singolo millimetro equivale ad un litro di acqua piovana caduta su un metro quadrato di terreno.
Per la neve e per la grandine è possibile esprimere una misura empirica in centimetri accumulati, anche se è preferibile fornire sempre il corrispondente valore in millimetri d'acqua equivalenti (un cm di neve fresca corrisponde all'incirca ad un mm d'acqua). L'intensità della precipitazione si esprime di conseguenza in millimetri orari (mm/h): spesso si distingue tra l'intensità media, ovvero i millimetri totali diviso la durata del fenomeno, e l'intensità massima raggiunta nel corso dell'evento.


Pressione atmosferica relativa
La pressione atmosferica relativa, che indica la pressione equivalente al livello del mare, non è una grandezza rilevata direttamente dalla stazione meteo, ma è calcolata tenendo conto dell'altitudine della località in cui è situata la stazione stessa e della pressione atmosferica assoluta rilevata in tale luogo.
Per rapportare al livello del mare il valore della pressione di una determinata località, si può sommare al valore della pressione assoluta rilevata direttamente dalla stazione meteo, il valore che si ottiene dal rapporto fra l'altitudine alla quale è posta la stazione stessa ed un coefficiente – di valore assoluto pari a 8,4 – ottenuto dalla considerazione che, nei primi 1000/2000 metri, ad un incremento dell'altitudine di circa 8,4 m corrisponde un decremento della pressione atmosferica pari a circa 1 hpa. Per semplificare le cose si può fare ricorso ad opportuni correttori di pressione reperibili in rete, tra i quali si segnala quello fornito dal National Weather Service Forecast Office, riportato nel successivo link.
 
Strumento correttore di pressione

L' evoluzione del tempo si basa essenzialmente su variazioni di pressione tra aree territoriali confinanti.
Caratteristica dell'aria che ci circonda è tendenza propria a ristabilire certe posizioni di equilibrio e che si manifestano tramite il vento.
La causa di questi movimenti è da ricercarsi nel peso dell’aria cioè nella pressione atmosferica: dove l’aria è più densa, quindi più pesante, avremo alta pressione, dove è meno densa invece, bassa pressione.
Poiché l’aria tende a ristabilire il proprio equilibrio, quella dotata di alta pressione si sposterà verso le zone di bassa pressione causando così la circolazione atmosferica, con movimenti ascensionali, trasversali e discensionali.
Sull’evoluzione del tempo influisce anche la temperatura dell’aria che con le sue variazioni, dovute a vari fattori, modifica la densità e il grado di umidità determinando la possibile formazione di nuvole e precipitazioni, mediante la condensazione di una parte dell’acqua che vi è contenuta in forma di vapore acqueo.
La pressione atmosferica insieme alla temperatura e all’umidità determina dunque le condizioni meteorologiche causando i fenomeni del vento, della nuvolosità, delle precipitazioni.

A titolo esemplificativo riportiamo la corrispondenza media il valore dell'altitudine (m) e di pressione (mmHg) relative a quote medie:
                 
Metri  500 600 700 800 900 1.000 1.100
mmHg 716 707 699 691 682 674 666
Metri 1.300 1.400 1.500 1.600 1.700 1.800 1.900
mmHg 650 642 635 627 620 612 605

Indicativamente per quote comprese tra i 2000 m (598 mmHg), la pressione* scende di 1 mmHg per ogni 14 metri di aumento di altitudine.

* Per alta e bassa pressione s'intende la pressione atmosferica misurata in un luogo e confrontata
con le aree geografiche circostanti.

Zone cicloniche e anticicloniche
Generalmente nelle zone cicloniche confluiscono grandi masse d’aria che, innalzandosi, si condensano originando forti annuvolamenti, mentre nelle zone anticicloniche l’aria defluisce verso l’esterno e verso il basso, per cui riscaldandosi diviene più secca e non dà luogo ad annuvolamenti: per questo motivo generalmente le alte pressioni sono portatrici dì bel tempo mentre le basse pressioni sono veicolo di maltempo.
La circolazione atmosferica generale e quindi le condizioni del tempo nell’Europa occidentale (di conseguenza anche sull’arco alpino) sono legate allo spostarsi di due vaste masse d’aria stazionanti sul-l’Atlantico, aventi considerevole differenza di pressione: l’anticiclone delle Azzorre e l’area ciclonica dell’Islanda.
Fra queste due zone si estende sull’Oceano fino all’Europa il fronte d’aria fredda prove-niente da Nord e quello caldo proveniente da Sud, che è continuamente disturbato dal diverso grado di riscaldamento del mare e delle terre emerse.
Questo causa la formazione di depressioni mobili che si spingono sull’Europa, con il predominio dei venti occidentali che trasportano le successive depressioni intervallate a zone di alta pressione: ecco la causa del « tempo instabile » che spesso nel periodo estivo investe la zona dell’arco alpino.
Il tempo bello stabile è invece legato all’estendersi dell’anticiclone delle Azzorre verso nord e di quello siberiano verso ovest, e quindi nell’area mediterranea, con alte pressioni le cui massime durate si verificano in autunno e in inverno, in corrispondenza di un effettivo spostarsi in quota del centro di alte pressioni.
Le zone ad alta pressione sono dette anticicloniche e quelle a bassa pressione cicloniche e, come si è visto, l’aria tende a spostarsi dalle prime alle seconde.
Le masse d’aria in movimento fra le due aree non sono continue ma separate da una superficie, detta fronte, che divide masse d’aria con temperature diverse.
Generalmente il fronte caldo è indicato nelle mappe con le isobare tramite triangolini di colore rosso, mentre il fronte freddo è indicato da triangolini blu.


Rovescio
Precipitazione solida o liquida da nubi convettive (nubi molto estese in verticale). La precipitazione, spesso di breve durata, comincia e finisce improvvisamente. Provocata normalmente da tempo molto instabile, con nuvolosità fortemente variabile ("nubi scure"). Tipica per estate e primavera, p. e. con temporali. È la precipitazione tipica dei fronti freddi.


Rugiada e brina
Se in presenza di aria asciutta il terreno si raffredda così tanto, che l’umidità relativa raggiunge il 100%, allora si deposita al suolo la rugiada. A temperature al di sotto di 0°C, si forma la brina.


Satelliti meteorologici

I satelliti meteorologici o, meglio le immagini inviateci dallo spazio da questi satelliti, sono forse lo strumento che più affascina i non addetti ai lavori che si avvicinano al mondo delle previsioni tant'è che spesso i satelliti sono considerati in modo sbrigativo la chiave "magica" in possesso dei meteorologi che apre loro le porte ad una previsione indovinata. Ma cosa c'è di vero dietro questa opinione diffusa ? E' così importante questo "terzo" occhio dallo spazio che ha mosso i primi passi negli anni 60 (più esattamente l'1 Aprile del 1960 quando fu lanciato dagli Usa il primo di dieci satelliti denominati Tiros)?
Per dare una risposta cominciamo dal dire senza eccessi di carattere tecnico cosa sono e come operano i satelliti meteorologici. Distinguiamo innanzitutto due tipi di satelliti, quelli "geostazionari" e quelli "polari". I primi mantengono una posizione fissa rispetto alla terra perché ruotano sul piano equatoriale con la stessa velocità angolare di rotazione del nostro pianeta. Il Meteosat, le cui immagini diffuse in molti bollettini meteo televisivi ci sono ormai familiari, si trova immobile ai nostri occhi sulla verticale uscente dai 0 gradi di latitudine e 0 di longitudine ad una distanza dalla terra di 35786 chilometri dalla superficie terrestre. Il compito di questi satelliti è quello di osservare una porzione di terra che va dai 60° nord ai 60° sud e un sistema di 5 satelliti equispaziati consente di coprire tutta la fascia compresa tra le suddette latitudini. I satelliti polari invece si muovono rispetto ad un osservatore sulla terra, che li vede spostarsi con una traiettoria simile ad un otto, ma il loro moto si ripete esattamente ogni 24 ore per cui ogni giorno alla stessa ora il satellite "sorvolerà" una particolare porzione della terra. Il loro compito, complementare a quello dei satelliti geostazionari, è quello di osservare le alte latitudini della terra, quelle oltre i 60° gradi.
Ma cosa vuol dire osservare la terra ? Vuol dire acquisire con la strumentazione a bordo del satellite immagini nel campo del visibile (come in una foto), dell'infrarosso e in quella, dal significato meno immediato, del vapore acqueo. Queste immagini a loro volta permettono di dedurre in modo diretto o indiretto molti dati: dall'analisi dei sistemi nuvolosi e del loro moto, a stime del vento in quota, alla temperatura dei mari e delle terre emerse, all'estensione delle nevi e dei ghiacciai....ecc. Quindi una sola immagine da satellite, grazie alla sua posizione privilegiata, fornisce più dati di qualsiasi rete di osservazione a terra.
Ma torniamo quindi ai quesiti di partenza. Fino ad ora abbiamo parlato di osservazioni ossia dell'analisi di cosa sta accadendo nell'atmosfera nel momento in cui il satellite "butta l'occhio" verso la terra e non di cosa accadrà sempre in atmosfera nel futuro. Tutta mal riposta quindi questa fama di strumento magico per la previsione del nostro tempo di domani ? Non proprio perché la conoscenza di cosa accade ora in atmosfera è di fondamentale importanza per stimare cosa accadrà domani e quindi per prevedere. I modelli fisico-matematici, dal nome un po' altisonante, i cui output giornalieri sono il vero strumento di lavoro quotidiano per i meteorologi impegnati a sfornare previsioni, in realtà non possono prescindere nelle loro elaborazioni dalla conoscenza della situazione iniziale dell'atmosfera. Il tempo di domani è infatti figlio del tempo di oggi e quanto più è accurata la conoscenza dell'oggi tanto più accurate saranno le previsioni per domani. Ed è qui che i satelliti giocano un ruolo determinante nella buona riuscita di una previsione: infatti aiutano a conoscere l'oggi dell'atmosfera sia coprendo in termini di acquisizione dati aree come quelle oceaniche o desertiche dove le osservazioni al suolo sono scarse, sia integrando la rete di osservazioni eseguite con i palloni sonda e quindi aumentando la mole di dati a disposizione in quota.
Giovanni Dipierro - Centro Epson Meteo

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Il sistema Meteosat è una costellazione di satelliti artificiali metereologici geostazionari comandata da EUMETSAT (European Organisation for the Exploitation of Meteorological Satellites). I satelliti Meteosat sono riconducibili a tre diversi programmi. Il programma Meteosat Transition Programme (MTP) è stato pensato per assicurare continuità operazionale tra la fine del positivo Meteosat Operational Programme nel 1995 e l'inizio del progetto Meteosat Second Generation (MSG), che ha iniziato la sua missione all'inizio del 2004 con l'uso di satelliti migliorati tecnologicamente. L'MTP ha assicurato una sovrapposizione con il programma MSG per assicurare, nelle intenzioni quantomeno fino alla fine del 2005, la continuità del vecchio sistema Meteosat.

Prima generazione
La prima generazione di satelliti Meteosat, da Meteosat-1 fino a Meteosat-7, assicura osservazioni metereologiche continue ed affidabili ad una vasta comunità di fruitori. Un satellite Meteosat di prima generazione fornisce immagini della Terra e della sua atmosfera con cadenza di 30minuti. Le immagini si riferiscono a tre diversi canali spettrali: uno nel visibile (0.5-0.8 μm), uno nell'infrarosso termico (10.5-12.5 μm) ed uno nella banda di assorbimento del vapore acqueo nell'infrarosso (5.7-7.1 μm). Da notare che la prima generazione di satelliti Meteosat non è dotata di scanner multispettrale, ma i tre canali sono forniti da quattro (per il visibile ce ne sono due) distinti sensori. La risoluzione a terra è di 2.5 Km per 2.5 Km nel visibile e di 5 Km per 5 Km nell'infrarosso[1]. A bordo è presente anche il Meteosat Visible and Infrared Imager (MVIRI), uno strumento in grado di fornire a terra immagini metereologiche già preprocessate. I satelliti Meteosat di prima generazione supportano anche la ritrasmissione di dati che ricevono da piattaforme remote poste su aerei o in mare e la diffusione di dati metereologici in formato testo e grafico.
Questi satelliti sono stati costruiti da un consorzio COSMOS composto in primis da Aerospatiale nel suo Cannes Mandelieu Space Center e da Matra, MBB, Alenia Aeronautica, Marconi Company.
Sono caratterizzati da una lunghezza di 3.195 metri ed un diametro di 2.1 metri. La massa iniziale in orbita è di 282 Kg e ruotano attorno al proprio asse a 100 giri al minuto[2].


Seconda generazione
Il contratto per la costruzione dei satelliti di seconda generazione è stato assegnato ad Aerospatiale, che ha iniziato i lavori presso il Cannes Mandelieu Space Center (che fa parte del Thales Alenia Space center), con la collaborazione principalmente di Matra, Messerschmitt ed Alenia Aeronautica.
La seconda generazione deve rispondere alle necessità degli utenti in termini di Nowcasting applications e Numerical Weather Prediction. Il nuovo strumento noto come GERB ricava dei dati importanti per la ricerca ed ilmonitoraggio del clima. Lo scanner multispettrale è in grado di operare in 12 diverse bande, legate a diversi fenomeni atmosferici: 2 nel visibile e 9 nell'infrarosso caratterizzate da una risoluzione a terra di 3 Km per 3 Km ed 1 pancromatica con risoluzione 1 Km per 1 Km[1].
Per quanto riguarda la stabilizzazione dello spin, i nuovi satelliti sono analoghi ai vecchi, ma ci sono stati dei miglioramenti nel design. I dati raccolti sono più frequenti e ricchi e favoriscono la tempestiva previsione di fenomeni meteorologici pericolosi come i temporali, la formazione di nebbia, e lo sviluppo delle piccole, ma allo stesso tempo intense depressioni che causano la formazione di devastanti tempeste.
I meteosat di seconda enerazione sono caratterizati da un diametro di 3.2 m eduna lunghezza di 2.4 m. La rotazione è antioraria alla velocità di 100 giri al minuto[3] a un'altitudine di 36,000 km.
Il 29 gennaio 2004 il primo satellite Meteosat di seconda generazione, MSG-1, poi chiamato Meteosat-8, hainiziato le operazioni di routine. Oltre al payload principale SEVIRI (Spinning Enhanced Visible and Infrared Imager), Meteosat-8 porta a bordo anche il payload secondario GERB (Geostationary Earth Radiation Budget).
Il lancio di MSG-2 (poi chiamato Meteosat-9) ha avuto luogo il 21 dicembre 2005.
Alla fine di giugno 2007 Meteosat-6, -7, -8 e -9 erano tutti operativi contemporaneamente. Meteosat-6 and -7 stazionano sull'Oceano Indiano, Meteosat-8, e -9 sono posizionati sopra l'Africa con varie differenze nella configurazione, Meteosat-6 fornisce servizi GPS ed è un backup di Meteosat-7, che fornisce la copertura dell'Oceano Indiano (ogni 30 minuti). Meteosat-8, oltre ad essere il backup di Meteosat-9, fornisce un servizio di scansione rapida della situazione europea, iniziato nel secondo trimestre del 2008, caratterizzato dalla capacità di fornire un'immagine ogni 5 minuti. Meteosat-9 invece acquisisce le immagini principali della zona euro-africana (un'immagine ogni 15 minuti).

Il lancio di MSG-3 è pianificato per il 2010 e quello di MSG-4 per la prima metà del 2013. Come MSG-1 e MSG-2, MSG-3 e MSG-4 dovrebbero essere lanciati da Arianespace.[5]

Payload secondario
Entrambi i satelliti operativi di seconda generazione hanno a bordo un Search and Rescue signal Processor (SARP), che è in grado di captare i segnali di pericolo (o distress signals) dai dispositivi distress radiobeacons a frequenze di 406 MHz. Questo aspetto può essere approfondito alla voce COSPAS-SARSAT.

1. Meteosat.
2. EUMETSAT - MFG Architecture
3. EUMETSAT - MSG Architecture
4. EUMETSAT - MSG Orbit Info
5. Arianespace


Stau
Quando spirano correnti umide da sud, sul versante meridionale delle Alpi le montagne favoriscono l’innalzamento delle masse d’aria, con conseguente formazione di nubi fitte (anche a bassa quota) e precipitazioni insistenti di debole o moderata intensità. Il fenomeno di Stau è particolarmente accentuato in vallate aperte verso sud e sbarrate a nord da una catena montuosa. Sul versante settentrionale delle Alpi spira il Föhn.


Temperatura
La temperatura è la misura dell’energia cinetica (o velocità) delle molecole dell’aria: più essa è alta e più le molecole si muovono velocemente. In pratica si tratta di un indice del calore dell’aria. L'unità di misura utilizzata è il grado centigrado (°C).
Si evidenzia che i valori di temperatura rilevati dalla stazione meteo urbana di Pont-Saint-Martin nella stagione invernale sono superiori rispetto alle zone del comune situate in aperta campagna (extraurbane) di circa 2°C nelle giornate di cielo sereno e di circa 1°C nelle giornate di cielo coperto. Questo divario, tipico delle stazioni urbane, è imputabile alla collocazione del sensore termo-igrometro in una zona circondata da molte abitazioni che cedono calore all'ambiente circostante.

Temporali
Cronaca di una giornata estiva: il mattino presto il cielo si presenta sereno, bastano però poche ore e compaiono i primi cumuli sui monti, sui pendii che per primi sono stati illuminati dal sole. Il resto della giornata trascorre senza che succeda nulla di particolare, e solo ogni tanto il sole viene oscurato da un cumulo di passaggio. Poi all'improvviso scoppia un temporale di breve durata e la notte che segue è serena e tranquilla. Eventi di questo tipo vengono denominati 'temporali di calore', sono innescati dal riscaldamento diurno e il loro raggio d'azione è molto limitato: una vallata alpina, parte di una provincia, talora solamente alcuni quartieri di una città. A pochi chilometri di distanza il cielo può essere del tutto sereno e talora si avverte solo un aumento di intensità ed un cambio di direzione del vento.
Il temporale di calore si sviluppa nelle zone continentali in condizioni di debole circolazione atmosferica, anche con pressione relativamente elevata, e la sua origine va ricercata nella formazione di una colonna di aria instabile per cause puramente locali. Non deve sorprendere che anche per la meteorologia moderna il temporale di calore risulta, quantomeno nella previsione classica a ventiquattro ore, una presenza davvero scomoda.
Per nostra fortuna, la maggior parte degli episodi temporaleschi ha un'origine dinamica, e questi possono essere previsti dal meteorologo grazie ai modelli numerici in uso. Il temporale di origine dinamica si sviluppa entro una porzione dell'atmosfera che risulta essere instabile anche su lunghezze dell'ordine di centinaia di chilometri. Vi sono i temporali che si sviluppano lungo le superfici frontali (fronte freddo specialmente) e i temporali che nascono dopo il passaggio del fronte freddo in regioni di elevata instabilità dell'aria, a patto che vi sia aria molto fredda in quota e condizioni favorevoli ai moti verticali. Nella realtà l'innesco del singolo temporale può ancora essere condizionato dai fattori locali, specie dall'orografia, ma i forti moti convettivi vengono attivati da cause dinamiche 'esterne' che sono, in generale, le stesse che concorrono allo sviluppo della nuvolosità e delle piogge non temporalesche. Avremo dunque temporali su diverse località, e magari più episodi consecutivi.
Non è difficile imparare a classificare il tipo di temporale a cui abbiamo assistito: se l'evento è generato da un fronte freddo il barometro segnalerà prima un calo, poi un sensibile aumento della pressione, diversamente la lancetta del barometro si sarà mossa di poco; se il temporale si sviluppa entro un nucleo di aria fredda non mancheremo di osservare la brusca discesa della temperatura soprattutto durante la precipitazione, ma che perdura anche nelle ore successive, mentre il temporale di calore ha un effetto 'rinfrescante' di breve durata, spesso limitato solo al momento dei rovesci. Più in generale, ovviamente, i temporali che osserviamo all'interno di un periodo di tempo perturbato, che sono preceduti da piogge o che sono seguite da altre ore di maltempo, senza necessariamente un cambio della massa d'aria, hanno sempre un'origine dinamica.
Lorenzo Danieli - Centro Epson Meteo
 

Termica
Moti ascendenti delle particelle d’aria, riscaldate dal suolo caldo. In questo processo è molto importante la natura del suolo. Per esempio la sabbia, i campi di grano, le rocce e le case si riscaldano più rapidamente di prati, foreste o specchi d’acqua. Gli alianti utilizzano le termiche per guadagnare in quota.



Tornado
Grande tromba d'aria con diametro al suolo di 300-700mcon una forte depressione nella sua parte centralein torno alla quale i venti ruotano in senso antiorariocon velocità che raggiungono spesso 200-300 Km/h. Si riconosce dalla tipica nube scura ad imbuto che dal suolo si collega fino alla base della nube temporalesca. E' il più violento ed il più distruttivo fenomeno meteorologico ma per fortuna di breve durata (1-2 ore). E' tipico degli USA e dell'Australia.

   

Tromba d'aria
Le trombe d'aria rappresentano il fenomeno meteorologico più violento che si può verificare nell'area mediterranea. Si tratta in pratica di un vortice ruotante in senso ciclonico (cioè antiorario) che ha origine e discende dalla base di un cumulonembo; spesso infatti le trombe d'aria si manifestano in concomitanza di temporali piuttosto violenti. Il tipico aspetto di una tromba d'aria è quello di una colonna nuvolosa, a forma di imbuto, che si protende fino al suolo, ove si allarga a forma di proboscide raggiungendo un diametro di 50-150 metri. Al centro del vortice la pressione raggiunge valori molto bassi; ed è proprio il dislivello barico tra il centro e la periferia del vortice, che è di circa 20-30 hPa, a risucchiare l'aria verso l'interno e a costringerla a girare intorno al centro di bassa pressione, con velocità prossime ai 100-150 km/h.
Una tromba d'aria di solito ha un ciclo vitale che non supera i 30 minuti, nei quali percorre qualche decina di chilometri; i danni che provoca lungo il suo percorso non sono tanto causati dal dall'effetto del vento sugli ostacoli incontrati, quanto dalla forza d'urto dell'aria che viene risucchiata dalle zone circostanti verso il minimo al centro del vortice stesso. Le violenti correnti ascendenti all'interno del vortice proiettano inoltre verso l'alto gli oggetti ed i detriti risucchiati.
Condizioni favorevoli all'innesco di una tromba d'aria sono quelle caratterizzate da un'elevata instabilità atmosferica che si sviluppa per esempio quando uno strato di aria fredda viene a trovarsi sovrapposto ad una massa d'aria molto calda e umida che staziona in prossimità del suolo. Quando l'equilibrio tra le due differenti masse d'aria si rompe, l'aria più calda viene bruscamente aspirata verso l'alto, richiamando aria dalle zone circostanti.
Situazioni come quella appena descritta possono verificarsi in Valpadana nel periodo estivo, quando un flusso di aria fresca dal Nordeuropa va a sovrastare l'aria calda ed umida stagnate al suolo dopo un lungo periodo di bel tempo.
In Italia le zone maggiormente colpite dal fenomeno delle trombe d'aria sono le aree pedemontane alpine, il Friuli, il Ponente Ligure, le coste dall'alta Toscana e del Lazio e la Sicilia orientale.
La probabilità un dato luogo sia investito da una tromba d'aria è però molto bassa, sia per la rarità del fenomeno che per la ristretta area da esso interessata.
Flavio Galbiati - Centro Epson Meteo

Umidità relativa
Ad una certa temperatura una data massa d’aria non può contenere più di una determinata quantità di vapore. Tale quantità è detta di saturazione, poiché un ulteriore apporto di vapore determinerebbe la condensazione di quello eccedente, sotto forma di goccioline visibili come la nebbia o le nubi.
L’umidità relativa non è altro che il rapporto tra la quantità effettiva di vapore e la quantità che quella massa d’aria potrebbe contenere allo stato di saturazione nelle stesse condizioni di temperatura e pressione. Per esempio, con una temperatura di 20°C la massima quantità di vapore acqueo per chilogrammo è di 13,6 grammi; se il contenuto fosse realmente tale, si avrebbe un’umidità relativa del 100%; se invece il contenuto fosse di 6,8 grammi (cioè la metà), l’umidità relativa risulterebbe del 50%.
In questo processo la temperatura dell'aria gioca un ruolo importante, infatti l’aria calda può contenere più vapore dell’aria fredda e a parità di immissione di vapore, la saturazione avviene più rapidamente in presenza di aria a temperatura più bassa.

Unità di misura (sigle e codici)

SIGLA SIGNIFICATO NOTE
hPa/mbar Ettopascal/millibar Unità di misura della pressione atmosferica
°C/°F Gradi Celsius/Fahrenheit Unità di misura della temperatura
min /max Minimum/maximum Minimo/massimo
MPS Metres per second Metri al secondo
KMH Kilometres per hour Chilometri all'ora
MPH Miles per hour Miglia all'ora
kt Knots (nodi) Unità di misura della velocità del vento
hr Hour Ora
UTC Universal Time Coordinated Orario del meridiano fondamentale di Greenwich
CET Central European Time Orario tedesco
EST Eastern Standard Time Orario della costa orientale statunitense
WST Western Standard Time Orario della costa occidentale statunitense
Lat/Long   Latitudine/longitudine
N/S/W/E North/South/West/East Punti cardinali (Nord/Sud/Ovest/est)
Ur   P>Umidità relativa
MSL Mean Sea Level Livello medio del mare
Taf   Messaggio di previsione meteorologica aeroportuale
Metar   Messaggio di osservazione meteorologica utilizzato in Aviazione
w   Velocità verticale dell'aria espressa in cm/s

w

  Velocità verticale dell'aria espressa in hPa/h
VIS/IR/VW Visibile/Infrarosso/Vapore acqueo Bande di ricezione dei satelliti meteorologici
B/A Bassa/alta Zone di bassa e alta pressione
L/H Low/High Zone di bassa e alta pressione
WMO (OMM) World Meteorological Organization Organizzazione meteorologica mondiale
ECMWF European Centre for Medium range Weather Forecast Centro europeo per la previsione meteorologica a medio termine
ENSO El Niño Southern Oscillation  
MO Mediterranean Oscillation  
AO Artic Oscillation  
NAO Northern Atlantic Oscillation  
GMC Global Model Circulation Modello della circolazione generale dell'atmosfera


Uragano
Uragano è il nome di origine caraibica (hurican o huracan) usato per indicare un ciclone tropicale, frequente specialmente nei Caraibi e caratterizzato da vento che raggiunge velocità pari o superiori a 118 km/h.
Con uragano si indica anche un vento di forza eccezionale, corrispondente al dodicesimo grado della scala di Beaufort.

 

Vento (intensità e direzione)
 Il vento è lo spostamento di una massa d'aria da una zona dove la pressione atmosferica è maggiore ad una dove è minore.
La velocità di spostamento e quindi la sua velocità sarà tanto più elevata quanto più rapida sarà la variazione orizzontale della pressione atmosferica, chiamata "gradiente barico".
Particolare importanza riveste anche il modo in cui si misura l'intensità del vento. Nel sistema internazionale la misura dell'intensità del vento è espressa in metri al secondo (m/s). Nella navigazione aerea, in quella marittima e nei bollettini meteorologici la misura si effettua in nodi. Un nodo è l'equivalente di un miglio nautico all'ora, ovvero 1.852 metri all'ora.
Una scala di misura tradizionale dell'intensità del vento, che ha il vantaggio di essere facilmente riconducibile ai fenomeni che il vento provoca, è la scala Beaufort. Si tratta di una scala introdotta nel 1805 dall'Ammiraglio Francis Beaufort della Marina Britannica, e successivamente modificata per adattarla ai tempi e alle esigenze. La scala si compone di un grado (spesso detto forza), di un termine descrittivo convenzionale e di una descrizione visiva degli effetti tipici dei vari gradi. Nella tabella accessibile dal link sottostante, è stato aggiunto l'equivalente dei vari gradi in m/s, nodi e km/h, nonché la suddivisione in classi utilizzata nelle previsioni meteo.
Per direzione del vento si intende la provenienza del vento, per la quale si possono utilizzare i punti cardinali oppure, se si vuole essere più precisi, i 360 gradi dell'angolo giro, come indicato nella nota "rosa dei venti": 0° corrisponde al Nord, e, procedendo in senso orario, Est=90°, Sud=180° e Ovest=270°.
 
Scala Beaufort
 

Walker (circolazione di)
Il diseguale riscaldamento di zone diverse del nostro pianeta dà luogo allo spostamento di grosse masse d'aria, in modo tale che il calore ricevuto dal sole tenda a distribuirsi in maniera omogenea nell'atmosfera. All'interno di queste grandi strutture che regolano la circolazione atmosferica a livello planetario si inseriscono poi quei fenomeni che caratterizzano il tempo su scala più ridotta (cicloni mobili, fronti freddi e caldi, etc. ). Se la più importante ed estesa delle grandi strutture a livello planetario è la Circolazione di Hadley, che divide ciascun emisfero in tre grandi fasce (dall'equatore ai 30° di latitudine, dai 30° ai 60° di latitudine, dai 60° di latitudine al Polo), grande importanza ha anche la Circolazione di Walker, che divide la fascia equatoriale in tre grandi celle convettive con direttrice ovest-est.
Tali grandi celle convettive sono situate una sull'Oceano Pacifico, una sull'Oceano Atlantico, ed una sull'Oceano Indiano. In ciascuna di queste celle l'aria sale nel ramo occidentale, ove le acque oceaniche sono più calde, per poi ridiscendere lungo il ramo orientale. Nell'ascesa sul lato occidentale le masse d'aria raggiungono anche i 12 km di altezza, con conseguente sviluppo di molte nubi temporalesche ed abbondanti precipitazioni; le intense correnti ascensionali si trovano sulla verticale di Indonesia ed Australia, dell'Amazzonia, e dell'Africa Centrale. L'aria che invece discende sul lato orientale della cella risulta particolarmente secca, anche a causa del fenomeno di subsidenza: è in queste zone, tra l'altro, che si trovano alcune delle maggiori aree desertiche del pianeta. La cella sull'Oceano Pacifico risulta più estesa delle altre due, in quanto è maggiore il gradiente termico tra il suo ramo occidentale e quello orientale. L'enorme quantità di energia, necessaria ad alimentare le tre celle di Walker, è fornita dalle grandi quantità di calore liberate nel processo di condensazione in atto nei rami ascendenti.
Variazioni alla Circolazione di Walker si osservano in concomitanza con episodi di Niño, fenomeno che comporta tra l'altro una diminuzione della differenza di temperatura tra le acque superficiali del Pacifico Occidentale e del Pacifico Orientale.
Andrea Giuliacci - Centro Epson Meteo


Windchill (temperatura percepita)
 Il windchill è una misura del tasso di calore perso e non una temperatura reale, infatti esso ci fornisce la temperatura apparente e non quella reale che è quella rilevata dal sensore della temperatura. Pertanto, se la temperatura reale è ad esempio 4°C, ed il windchill di -2°C, possiamo esser sicuri che non siamo ancora arrivati al punto di congelamento dell'acqua. Tale indice è applicabile quando la velocità del vento è compresa tra 2 m/s e 24 m/s e quando la temperatura è inferiore a 11°C.
In pratica questo indice può essere impiegato per descrivere quale sia la reale temperatura avvertita da un organismo umano in relazione alla temperatura dell'aria e alla velocità del vento. Non è infatti difficile notare come la sensazione di disagio, in particolare durante la stagione invernale, si presenti alquanto diversa con situazioni di calma di vento oppure con presenza di brezza o di vento sostenuto. A tale scopo lo scienziato Steadman ha elaborato una formula che determina la reale sensazione di freddo della pelle nuda esposta a diverse temperature con vento a velocità diverse. Si ottiene così il valore di windchill, ossia il valore della temperatura virtuale in rapporto alla forza del vento.
 

WindRun
Il WindRun è la quantità di vento passata sulla stazione di rilevamento per unità di tempo (/h, /24h, /settimana, /mese, /anno, totale) espressa in "Km di vento". Con un esempio indica i chilometri la distanza percorsa da una ideale particella d'aria sospinta dal vento soffiato nell'unità di tempo.
In termini pratici esprime la "ventosità della stazione di rilevamento. In questa stazione viene espresso sia relativamente alla giornata in corso che all'intero anno.
Si ottiene moltiplicando la velocità media del vento x l'unità di tempo.

Velocità media del vento = 10 km/h
Unità di tempo = 24h
WindRun = 10 km/h x 24h = 240km

Zero termico
Quota, al di sopra della quale la temperatura dell’atmosfera scende sotto gli zero gradi.