850 hp, 500 hp
(o hPa)
Indicazione che si trova nelle carte metorologiche, che si riferisce
alla pressione atmosferica (che e' direttamente correlata con
l'altitudine), misurata in hectopascal, e serve ad indicare a quale
altitudine si riferisce la situazione mostrata nella mappa stessa.
Indicativamente, 850 hPa
corrispondono a circa 1400
metri s.l.m.,
500
hPa a circa
5400
metri s.l.m..
Un hectopascal (hPa) equivale a 100 pascal (Pa) e corrisponde a 1
millibar (mb o mbar); 1 Pa corrisponde a 10E-5 atmosfere.
Adiabatici
(processi)
Tra le parole 'difficili' che si incontrano leggendo un manuale di
meteorologia vi è sicuramente l'aggettivo 'adiabatico',
anche se il termine descrive un concetto abbastanza semplice. Le
trasformazioni adiabatiche, nel linguaggio della termodinamica, sono
quelle durante le quali 'il sistema' non scambia calore con l'esterno,
l'energia termica, non viene, cioè, né ceduta,
né assorbita. Se seguiamo lo spostamento di una massa d'aria
troveremo che molto spesso nei moti atmosferici questa condizione viene
soddisfatta, almeno con un sufficiente grado di approssimazione.
L'aria secca, infatti, risulta essere quasi del tutto trasparente alla
radiazione solare; gli strati d'aria lontani dal suolo si riscaldano
pochissimo durante il giorno e si raffreddano in modo trascurabile
durante la notte, anche perché l'aria è un
pessimo conduttore del calore. Una massa d'aria che subisce uno
spostamento verticale, ad esempio perché costretta a salire
o scendere lungo un rilievo, viene a trovarsi in regioni con diversa
pressione atmosferica; come avviene per tutti i gas, il processo di
espansione o di compressione è accompagnato da
raffreddamento o da riscaldamento. La trasformazione può
essere considerata adiabatica per via della bassa capacità
dell'aria di trasmettere il calore per conduzione agli strati vicini.
Si calcola facilmente che durante la salita l'aria si raffredda di
circa 1 grado per ogni 100 metri di dislivello e, per le ragioni
esposte, questa variazione di temperatura rispetto all'altezza
è detta 'gradiente adiabatico dell'aria secca'. Si tratta di
una quantità importante perché nell'atmosfera il
gradiente adiabatico rappresenta in pratica la massima variazione
possibile di temperatura che si può osservare con una
variazione di quota (ed è anche un valore facile da
ricordare!).
Le trasformazioni che subisce l'aria umida sono in generale
più complesse specialmente a causa dei processi di
condensazione e di evaporazione del vapore acqueo. Durante la
condensazione si libera calore, mentre con l'evaporazione il calore
viene assorbito. La variazione di temperatura che si misura in presenza
di condensazione del vapore è dunque inferiore che nell'aria
secca. A seconda della quantità di umidità che
condensa la variazione di temperatura con la quota è
dell'ordine di circa 0.5-0.6 gradi per ogni cento metri, quindi anche
della metà rispetto all'aria secca.
Lorenzo Danieli - Centro Epson
Meteo
Alta pressione
transitoria
Alta
pressione di breve durata, alla quale segue presto una
diminuzione della pressione.
Alta pressione
Porzione
dell'atmosfrera nella quale l'aria ha una
pressione piu'
elevata di quella dell'aria circostante. L'aria a maggiore pressione
puo' essere localizzata in quota o a livello del suolo.
Anticiclone
delle Azzorre
L’anticiclone
prende il
nome dal centro di alta pressione attorno al quale avviene la
circolazione che si trova, soprattutto d’inverno, in
corrispondenza delle isole Azzorre, nell’Oceano Atlantico.
Appartiene al gruppo degli anticicloni subtropicali e il suo
comportamento influenza grandemente tutta l’area mediterranea
e non solo. La sua posizione invernale, a latitudini relativamente
basse, permette a un gran numero di perturbazioni, in genere
atlantiche, di accedere al Mediterraneo. In realtà negli
ultimi 10-15 anni l’anticlone in inverno-primavera ha preso
l’abitudine di allungarsi molto spesso e per lunghi periodi
verso la Francia e il Nord Italia, impedendo così alle
piovose e fredde perturbazioni atlantiche di raggiungere
l’Italia. Questo spiega gli ormai ricorrenti episodi di grave
siccità in inverno-primavera sulla nostra penisola In
estate, oltre che a spostarsi più a Nord espandendosi, tende
invece a ricoprire e quindi a proteggere il Mediterraneo dalle
perturbazioni, garantendo, in genere, tempo caldo e soleggiato. La
diversa posizione nel corso dell’anno
dell’Anticiclone delle Azzorre è conseguenza del
fatto che nella stagione fredda la differenza termica Equatore-Polo
è molto più marcata di quanto non sia in estate.

Arcobaleno
Fin dall'antichità l'arcobaleno è
sempre stato considerato un fenomeno atmosferico affascinante e legato
alle divinità. Per la filosofia buddista, l'arcobaleno
è la scala con la quale Buddha ridiscende dal cielo; nella
mitologia greca, l'arcobaleno è rappresentato da Iride
vestita di iridescenti gocce di rugiada. Anche in Cina l'arcobaleno
assume un significato: l'insieme dei suoi colori rappresenta l'unione
dello yin e dello yang, l'armonia dell'universo e della sua
fecondità. Secondo San Martino i sette colori sono i simboli
delle virtù intellettuali; mentre, per i cristiani,
simboleggia l'alleanza tra Dio e gli uomini dopo il diluvio universale.
Che cosa è in realtà l'arcobaleno? È
l'insieme di sette archi concentrici, di diverso colore (rosso,
arancione, giallo, verde, blu, indaco, viola), che hanno origine
dall'interazione dei raggi solari con le gocce di pioggia.
Già Aristotele aveva tentato di spiegare matematicamente la
formazione dell'arcobaleno, ma è solo con Descarte
(Cartesio, 1637) che si hanno i primi trattati matematici corretti su
questo fenomeno. Dopo un temporale, è possibile vedere
apparire un arcobaleno in una porzione del cielo, mentre il sole
splende in un'altra. Tuttavia, questo accade solo se l'osservatore ha
il sole alle spalle e il centro dell'arco circolare è nella
direzione opposta all'astro. Ci sono, infatti, tre effetti ottici che
determinano la formazione dell'arcobaleno: rifrazione, riflessione e
dispersione. I raggi solari, che attraversano la goccia di pioggia,
supposta sferica, sono rifratti (deviano la loro traiettoria) al suo
interno e sono, pertanto, separati in altri raggi, associati ai diversi
colori. Se all'interno il raggio rifratto forma un angolo maggiore di
quello critico (48°) con la normale alla superficie interna,
che il raggio raggiunge, allora il raggio è riflesso e
nuovamente rifratto quando esce dalla goccia. Da ogni goccia, tuttavia,
esce un solo raggio (raggio di Descarte) con un angolo caratteristico,
corrispondente ad un determinato colore, che varia dai 40 (viola) ai 42
gradi (rosso). Questo raggio è il più
significativo perché, tra tutti i raggi incidenti sulla
goccia, è quello che ha il più piccolo angolo di
deviazione. La concentrazione di raggi vicino alla minima deviazione e
la forma sferica delle gocce sono la spiegazione della forma arcuata
dell'arcobaleno.
In particolari condizioni atmosferiche, è possibile
osservare due arcobaleni vicini di diversa intensità
luminosa e, a volte, se si è particolarmente fortunati, si
può scorgere anche un terzo. Quello più luminoso
è detto arcobaleno primario e ha i colori che cambiano dal
rosso, all'esterno dell'arco, al violetto, al suo interno. La posizione
dei colori è determinata dall'angolo dei raggi uscenti dalle
gocce. L'arcobaleno secondario, così come gli altri, se
esistono, si crea per una duplice riflessione dei raggi rifratti
all'interno delle gocce. Per questo arcobaleno, la disposizione dei
colori è invertita. La parte interna di un arcobaleno
primario risulta molto più luminosa di quella esterna. La
spiegazione sta sempre nell'ampiezza degli angoli dei raggi uscenti.
Alcuni raggi emergono dalla goccia con angoli più piccoli
rispetto a quello del raggio di Descarte. In questo modo ci
sarà un sovrapposizione di colori che daranno luce bianca.
In conclusione, l'arcobaleno, essendo generato dall'interazione dei
raggi del sole con la pioggia, potrà essere osservato
prevalentemente in estate, perché c'è
più possibilità di avere contemporaneamente sole
e pioggia, ma non sarà identico a due persone diverse
perché cambia il loro punto di vista rispetto agli angoli di
rifrazione e di riflessione dei raggi.
Alessia Borroni - Centro Epson
Meteo
Atmosfera
Strato di
elementi gassosi che circonda la terra. Si divide
in
Troposfera, Stratosfera (strato di ozono), Mesosfera, Termosfera e
Esosfera. Si estende poi senza un limite ben definito nello spazio.
La
troposfera
La parola Troposfera deriva dal greco "Tropos" che significa
variazione, proprio perché all'interno di questa sfera
troviamo
i maggiori valori di pressione e densità. La troposfera
è
anche il luogo della vita: tutte le piante e tutti gli esseri umani
vivono in essa, utilizzando alcuni dei gas che la costituiscono.
È anche lo strato in cui si verificano quasi tutti i fenomi
meteo e contiene l'80% della massa gassosa totale e il 99% del vapore
acqueo: l'aria della troposfera è riscaldata dalla
superficie
terrestre ed ha una temperatura media globale di 15°C al
livello
del mare, che diminuisce con l'altitudine (0,65°C ogni 100m di
quota) fino ai circa -60°C della tropopausa. L'aria degli
strati
più bassi che tende a salire genera grandi correnti
convettive
da cui hanno origine i venti equatoriali costanti, detti alisei le
perturbazioni atmosferiche. La troposfera ha uno spessore variabile a
seconda della latitudine: ai poli è spessa 8 Km, mentre
raggiunge i 17 Km all'equatore. La pressione atmosferica decresce con
l'altitudine secondo una legge esponenziale. Salendo in quota, oltre a
pressione e temperatura, diminuisce anche il contenuto di vapore acqueo
dell'aria. Ad un certo punto la temperatura si stabilizza a
-60ºC
circa: è la tropopausa, la zona di transizione fra
troposfera e
stratosfera.
La
stratosfera
È lo strato atmosferico situato al di sopra della tropopausa
e
raggiunge un'altezza di 50-55 chilometri. Qui avviene il fenomeno
chiamato “inversione termica”: cioè,
mentre nella
troposfera la temperatura diminuisce con l'altezza, nella stratosfera
aumenta, fino al valore di 0°C. Ciò è
causato dalla
presenza di uno strato di ozono, la cosidetta ozonosfera, che assorbe
quasi tutte le radiazioni solari ultraviolette. Nella stratosfera i
componenti si presentano sempre più rarefatti, il vapore
acqueo
e il pulviscolo diminuiscono ruscamente, ma resistono ancora
particolari tipi di nubi chiamate cirri.
La
mesosfera
In questa zona, che si spinge sino a 80 Km di quota, l'atmosfera non
subisce più l'influsso della superficie terrestre, ed
è
costante a tutte le latitudini. Non ci sono più
né venti
né correnti ascensionali, né nubi o
perturbazioni: l'aria
è completamente calma. In queste condizioni, i gas si
stratificano per diffusione, e la composizione chimica media dell'aria
inizia a variare man mano che si sale. L'anidride carbonica scompare
rapidamente e il vapore acqueo ancora più in fretta, e anche
la
percentuale di ossigeno inizia a diminuire con la quota. Aumentano le
percentuali di gas leggeri come elio e idrogeno. L'effetto riscaldante
dell'ozono è terminato, e la temperatura diminuisce sempre
più con la quota fino a stabilizzarsi, in un limite
superiore
della mesosfera, a circa -80ºC, denominato mesopausa.
In quest’ultimo strato hanno origine le stelle cadenti o
meteore.
Oltre la mesopausa, alla quota di circa 100 km, l'aria è
tanto
rarefatta da non opporre una resistenza tangibile al moto dei corpi, e
quindi diventa possibile muoversi con un moto orbitale. Per
ciò
la mesopausa viene considerata il confine con lo spazio.
La
termosfera
In questo strato, che si spinge sino a 500 km d’altezza, i
gas
presenti sono tanto rarefatti che ricevono quasi interamente la
radiazione solare diretta e sono quindi in prevalenza allo stato
ionizzato (insieme agli strati superiori della mesosfera, la termosfera
costituisce la ionosfera terrestre). La temperatura in questo strato
sale con l'altitudine, per l'irraggiamento solare, ed arriva ai
1700ºC al suo limite esterno. Al confine fra mesopausa e
termosfera hanno luogo le spettacolari aurore boreali.
La composizione chimica è ancora simile a quella media, con
una
predominanza di azoto e ossigeno, ma cambia sempre più con
l'altitudine. A circa 500 Km di quota, questi due gas cessano di essere
i componenti principali dell'atmosfera, che diventano elio e idrogeno.
L’esosfera
È la parte più esterna della atmosfera terrestre,
dove la
composizione chimica cambia radicalmente e non ha un vero limite
superiore. I suoi costituenti sono per lo più idrogeno ed
elio,
in maggioranza particelle del vento solare catturate dalla magnetosfera
terrestre. La temperatura aumenta rapidamente con l’altezza
sino
a raggiungere e forse superari i 2000°C .
Bassa
pressione
dell'Islanda
Bassa
pressione che si trova spesso nei mari attorno
l’Islanda. In questa zona la Corrente del Golfo apporta molta
energia dal basso.
Bassa
pressione
Configurazione
di pressione circondata da sistemi nei quali
la pressione è più alta.
Bora
E’
un vento secco e freddo, che soffia da NE dai
monti del
litorale nordorientale dell’Adriatico. Si distingue una bora
chiara, che e' indice di bel tempo, e una bora scura che porta pioggia
o bufere di neve. Può raggiungere i 40m/s (144 Km/h).
Brezza
di montagna e valle
Circolazione
di natura termica analoga alla brezza di mare
-
terra. Di giorno l’aria si riscalda sulle pendici montuose e
sale
verso l’alto (brezza di valle), nella notte si raffredda e
scende
verso le valli (brezza di monte).
Buys-Ballot
(legge di)
Secondo la
legge di Buys-Ballot, nell'emisfero nord,
rivolgendo le spalle al vento, l'area di bassa pressione si trova alla
sinistra dell'osservatore (alla destra se ci si trova nell'emisfero
sud).
Calaverna
(talvolta
galaverna, o brina opaca)
Sottile
strato di ghiaccio che si forma sugli oggetti
esposti a
freddo intenso, ed e' costituito da granuli che si formano per rapido
congelamento e sovrapposizione di piccolissime goccioline d'acqua.
Carta della
pressione
Rappresentazione
grafica della pressione atmosferica o
della
posizione delle alte e basse pressioni. I punti di uguale pressione
sono congiunti da curve, chiamate isobare.
Cella
di Ferrel
Tra la
fascia anticiclonica intetropicale e quella polare si
inserisce una fascia ciclonica detta cella di Ferrel (tra i 35 e il
60° N/S). Questa cella si origina dai venti in risalita dalle
aree
subtropicali che contrastano con quelli in discesa dal polo. La
deviazione esercitata dalla rotazione terrestre favorisce moti
vorticosi e l'approfondimento dei cicloni temperati a noi
più
noti.
Cella di Hadley
Tutti gli
appassionati di meteorologia hanno sicuramente
sentito nominare il signor Hadley e ciò che ha fatto per la
conoscenza dei processi che avvengono nell'atmosfera.
Questo illustre scienziato inglese del 18° secolo, ricercando
quale possa essere l'origine dei venti alisei (quei venti costanti che
soffiano entro la fascia intertropicale convergendo dai due emisferi in
prossimità dell'equatore), ha ideato un modello che riesce a
spiegare questi movimenti, allora misteriosi, delle masse d'aria.
Questo suo modello si basa sul semplice concetto di trasporto di calore
da una superficie calda ad una più fredda attraverso un
fluido: nel caso in questione il fluido è costituito
dall'atmosfera, la fonte di calore è il sole, la superficie
calda è la fascia equatoriale mentre quelle fredde sono le
calotte polari.
Per tentare di bilanciare il divario termico tra le diverse latitudini
l'aria equatoriale, sottraendo calore al suolo surriscaldato dal sole,
sale in quota (fino a circa 16 km di altitudine) per poi dirigersi nei
due emisferi verso i rispettivi poli dove ridiscende fino al suolo; dai
poli, per chiudere il ciclo, l'aria al suolo è costretta a
convergere nuovamente verso l'equatore: ecco spiegata l'origine degli
alisei.
Attraverso questo modello non si spiega, invece, il motivo per cui
questo genere di circolazione avvenga solamente nella fascia
intertropicale; infatti manca un elemento fondamentale: la rotazione
terrestre. Il moto di rotazione della Terra genera la deviazione delle
masse d'aria in moto: nell'emisfero nord l'aria viene deviata verso
destra mentre nell'altro emisfero la deviazione avviene verso sinistra.
A causa di ciò l'aria che viene riscaldata all'equatore e
sale in quota non si dirige più in linea retta verso i poli
ma devia verso oriente raggiungendo, al massimo, i 30° di
latitudine per poi discendere al suolo e convergere verso l'equatore
chiudendo il ciclo. Questa circolazione atmosferica prende il nome di
CELLA (o cellula) DI HADLEY e risulta di fondamentale importanza
nell'ambito della circolazione generale atmosferica, nonché
nella comprensione delle varie tipologie di clima e habitat della zona
torrida: dal quello caldo umido con foreste pluviali dell'equatore, a
quello arido con immensi deserti dei tropici.
Simone Abelli - Centro Epson
Meteo
Ciclone
In
meteorologia il ciclone è quella figura
barica (cioè riguardante la pressione) caratterizzata da
isobare chiuse concentriche, aventi un minimo nel centro ed in cui le
masse d'aria si muovano in senso antiorario rispetto al centro
nell'emisfero settentrionale, in senso orario nell'emisfero meridionale.
Questo è ciò che hanno in comune tutti i cicloni,
i quali però si posson dividere in varie categorie a seconda
della grandezza, durata e genesi che li caratterizza. Distinguiamo
perciò i cicloni in permanenti, extratropicali o mobili,
termici, orografici e tropicali.
I cicloni permanenti sono determinati dalla circolazione generale
dell'atmosfera, e non sono altro che una fascia permanente di bassa
pressione intorno ai 60° di latitudine: a questi appartengono
ad esempio il Ciclone d'Islanda o il Ciclone delle Aleutine.
I cicloni extratropicali, o mobili, sono quelle depressioni mobili
associate allo sviluppo di sistemi frontali: rappresentano il tipo di
depressione più comune alle medie latitudini, hanno un
diametro medio di 500-2000 Km, ed un ciclo di vita che va dai 3 ai 15
giorni.
Sia i cicloni permanenti che quelli extratropicali sono caratterizzati
da aria più fredda di quella circostante, e si estendono
fino alla troposfera.
I cicloni termici si originano per il forte riscaldamento di alcune
aree rispetto a quelle circostanti: ad esempio le depressioni che nelle
giornate si formano sulla terraferma rispetto al mare, oppure sui
rilievi rispetto alle zone di pianura. Sono responsabili delle brezze
marine e montane. Questi cicloni sono costituiti da aria più
calda di quella circostante e la circolazione ciclonica si interrompe
tra i 2000 ed i 4000 m di quota, per esser qui sostituita da
circolazione anticiclonica.
I cicloni orografici sono le aree di bassa pressione che si generano
sottovento ad una catena montuosa investita perpendicolarmente da forti
correnti d'aria.
Più spazio dedichiamo ai cicloni tropicali, quelli forse
più conosciuti, e sicuramente più temuti, per i
loro devastanti effetti: hanno diametro che va dai 300 ai 1500 Km, un
ciclo di vita tra i 3 ed i 15 giorni, sono accompagnati da piogge
torrenziali e, nella fascia tra 30 e 60 Km dal loro centro, da venti
che soffiano a 150-200 Km orari. Il nome con cui vengono indicati
cambia a seconda dell'aria geografica in cui si originano o su cui si
abbattono: Tifone nel Pacifico Occidentale, Uragano nel Nord America,
Ciclone nell'Oceano Indiano, Willy-Willy in Australia. La loro immensa
energia è dovuta alle grandi quantità di calore
rilasciate nell'atmosfera dalla condensazione di enormi
quantità di vapor acqueo, il quale viene sottratto agli
oceani della fascia tropicale dall'intenso riscaldamento solare.
Infatti, quando la superficie dell'oceano supera i 25°C, l'aria
degli strati più bassi, surriscaldata dall'acqua, diviene
più leggera di quella circostante ed è sospinta
verso l'alto, condensando così sotto forma di nubi l'elevato
contenuto in vapore. Si forma così un muro di nubi, mentre
la grande quantità d'aria pompata verso l'alto fa
sì che si generi una profonda depressione, la quale richiama
aria calda ed umida dalle zone circostanti.
Queste nuove masse d'aria, costrette a sollevarsi in
prossimità del muro di nubi, contribuiscono ad alimentare il
ciclone, mentre la rotazione terrestre imprime a tutto il sistema il
classico moto rotatorio.
Parte dell'aria risucchiata nell'occhio del ciclone ricade verso la
zona centrale e, riscaldandosi per compressione nel moto di discesa,
dissolve le nubi in formazione: ecco perché nel centro del
ciclone una zona di 15-30 Km di diametro, appunto l'occhio del ciclone,
risulta sgombra da nubi e caratterizzata da venti poco intensi.
I cicloni tropicali si sviluppano tra i 5° ed i 20° di
latitudine, dove il riscaldamento delle acque oceaniche è
maggiore, ma non nelle zone prossime alla fascia equatoriale: qui
difatti sono trascurabili gli efetti della rotazione terrestre, e vien
perciò a mancare la spinta necessaria ad imprimere alle
masse d'aria il caratteristico moto rotatorio attorno al centro di
bassa presione.
Andrea Giuliacci - Centro Epson
Meteo
Cicloni
Extratropicali
Tutti conoscono bene la differenza di insolazione che passa
tra equatore e poli. La differenza di temperatura tra aree equatoriali
e calotte polari determina la formazioni di tre grandi blocchi di aria
omogenea: due sulle calotte polari , freddi e poveri in
umidità e uno tra i due tropici caldo e ricco di vapore
acqueo. L'atmosfera non è altro che un enorme macchina
termica che provvede al trasporto di calore dall'Equatore verso i Poli.
Come ciò avvenga e le conseguenze di tutto questo sono in
fondo abbastanza singolari.
La linea di demarcazione, al suolo, tra aria tropicale e polare viene
detta fronte polare. Ora il fronte, in realtà non
è una rigida ed immobile barriera, ma a causa delle forzate
e improvvise deviazioni di percorso introdotte dalle catene montuose, o
dall'alternarsi di oceani e continenti, risulterà piuttosto
una linea percorsa da ampie ondulazioni prodotte da spinte alternate
dell'aria tropicale verso nord-est e dell'aria polare verso sud-ovest.
Avremo, così, che sul lato destro della cresta dove l'aria
calda sale verso latituni maggiori si creerà un fronte
caldo, mentre a sinistra dove è invece l'aria fredda a
premere avremo un fronte freddo.
Le ondulazioni, una volta innescatesi, tendono a divenire man mano
più ampie, e ai vertici delle lingue calde, l'aria
comincerà ad invorticarsi in senso antiorario e ad
innalzarsi costretta dall'aria fredda più densa: si
creerà, in tal modo, un vortice depressionario. A tali
depressioni che si muovono alle medie latitudini, nella fascia delle
correnti occidentali, viene dato il nome di cicloni extratropicali, o
anche di depressioni mobili, per distinguerli dalle depressioni
stazionarie della fascia equatoriale o del circolo polare.
Le depressioni originate dalle ondulazioni del fronte polare si
presentano quasi sempre in gruppi da 3 a 5 membri, in cui ogni ciclone
della famiglia scorre a latitudini sempre più basse di
quello che lo precede. L'ultimo della serie è seguito da un
anticiclone (al vertice della lingua d'aria fredda si
produrrà, specularmente a quanto avviene per l'aria calda,
un'alta pressione), anch'esso mobile, detto di chiusura, al quale
è associata una consistente irruzione di aria fredda verso
le basse latitudini.
I cicloni extratropicali che interessano l'Europa si originano in aree
abbastanza precise, ove il contrasto termico dell'aria tropicale che
sale e di quella polare in discesa è più marcato.
Normalmente tali zone, dette ciclogenetiche (cioé di
formazione dei cicloni), si identificano con l'Isola di Terranova, le
coste meridionali della Groenlandia e le zone circostanti l'Islanda.
Tuttavia ha grande influenza sull'origine e sul successivo moto delle
famiglie di cicloni extratropicali la posizione relativa delle aree
depressionarie fisse del nord Atlantico e dell'Anticiclone delle
Azzorre.
Il maltempo sull'Italia non è portato solo da questo tipo di
perturbazioni; anzi, molto spesso sono depressioni che si originano
all'interno del Mediterraneo a portare la pioggia sulla nostra
penisola, ed anche in abbondanza.
Il Mediterraneo è una culla ideale per la formazioni di
depressioni mobili e sistemi frontali del tutto simili a quelli che
nascono in seno al fronte polare. Infatti, mediamente le acque
superficiali del Mediterraneo superano di circa 4°C quelle
dell'oceano alla stessa latitudine: avviene così che le
irruzioni di aria fredda, più probabili in autunno e
primavera, producano quel contrasto termico sufficiente all'innescarsi
di un ciclone. Tipiche a tale riguardo sono le depressioni che si
sviluppano in prossimità delle Isole Baleari e lungo le
coste del Nordafrica.
Un'altro esempio caratteristico delle depressioni che interessano
l'Italia sono i cicloni di origine orografica: vale a dire quelle aree
di bassa pressione che si generano sottovento alle catene montuose
quando queste vengono investite perpendicolarmente da veloci correnti.
Il riferimento è ovviamente alla depressione che si crea sul
Mar Ligure quando le Alpi centro-occidentali sono interessate da forti
correnti di maestrale. Questo tipo di configurazione barica
è particolarmente significativo, in quanto determina
piogge,anche molto abbondanti, sulle regioni dell'alto e medio Tirreno.
Dmitrij Toscani - Centro Epson
Meteo
Cicloni termici
Uno dei
possibili meccanismi in grado di generare un'area
di bassa pressione in una porzione di atmosfera è il diverso
riscaldamento della superficie terrestre da parte dei raggi solari.
La zona equatoriale, ad esempio, è caratterizzata dalla
costante presenza di basse pressioni che formano una sorta di cintura
attorno al globo resa visibile, attraverso le immagini dei satelliti
meteorologici, dalle imponenti nubi cumuliformi che vi si sviluppano
quotidianamente; infatti la cosiddetta Zona Torrida, compresa tra i due
tropici, risulta essere l'area maggiormente riscaldata della Terra e le
depressioni che si formano al suo interno sono dovute proprio
all'eccesso di energia termica capace, fra l'altro, di innescare
poderosi moti ascensionali dell'aria che sono strettamente legati alla
circolazione generale dell'atmosfera.
Ma per quale motivo questo meccanismo provoca un abbassamento della
pressione? La spiegazione è piuttosto semplice.
La pressione atmosferica in un qualsiasi punto della superficie
terrestre è prodotta dal peso della colonna di aria
sovrastante; se in quel punto l'aria viene scaldata si verifica un calo
della sua densità: in pratica, a parità di volume
occupato, l'aria pesa di meno. Nello stesso tempo, a causa del fatto
che tra due fluidi mescolati quello più leggero tende ad
occupare i livelli superiori e viceversa, si genera un moto
ascensionale dell'aria la quale, raggiunta la sommità,
diverge spostandosi definitivamente da quella verticale. Facendo i
conti l'aria che sfugge dall'alto va a sottrarsi all'intera colonna
sottostante; risultato: sopra quel punto meno quantità
d'aria, meno peso e quindi pressione inferiore rispetto alle zone
adiacenti. Una caratteristica peculiare di queste strutture bariche
è che, a differenza dei cicloni di origine dinamica (come
quelli che interessano normalmente l'Italia), ai livelli superiori si
genera un'area anticiclonica: infatti, come si è detto,
sopra la colonna l'aria diverge proprio come all'interno delle alte
pressioni.
Le dimensioni tipiche di tali strutture vanno dalle centinaia alle
migliaia di chilometri; di conseguenza si comportano come tutte le aree
cicloniche con i movimenti dell'aria a spirale attorno al centro. Per
tale motivo vengono chiamati CICLONI e, siccome sono generati dal
riscaldamento solare, si definiscono TERMICI.
Monsoni e brezze sono fenomeni a scale differenti causati da questo
stesso meccanismo: nella stagione calda (per i monsoni estivi) o
durante le ore più calde del giorno (per le brezze diurne)
la terraferma o la cima dei monti si scalda maggiormente rispetto al
mare o al fondovalle; di conseguenza, su queste aree, si crea una bassa
pressione in grado di risucchiare aria dal mare o dalla valle.
Nel caso del monsone estivo la grande quantità d'aria umida
richiamata dall'oceano provoca la famosa stagione delle piogge; si
hanno esempi eclatanti nel sud-est asiatico. In maniera inversa si
riscontrano i medesimi meccanismi durante la stagione fredda per i
monsoni e nella notte per le brezze, quando il mare o il fondovalle
risultano più caldi della terraferma o la cima dei monti.
Simone
Abelli
- Centro Epson Meteo
Circolazione
generale dell'atmosfera
L'inclinazione
dell'asse di rotazione terrestre rispetto al
piano dell'orbita apparente che il Sole compie intorno alla Terra in un
anno, fa sì che le zone equatoriali ricevano durante l'anno
una quantità di calore dal Sole superiore a quella riemessa
verso lo spazio.
Al contrario ai Poli il bilancio tra calore ricevuto e calore perso
è negativo. Sulla base di queste indicazioni, si potrebbe
arrivare a concludere che la temperatura media all'Equatore
è in continuo aumento, mentre ai Poli è in
graduale diminuzione. Invece tutto ciò non accade: la
temperatura media all'Equatore o ai Poli non presenta una netta
tendenza all'aumento o al calo (negli ultimi 50 anni si è in
realtà misurato un rialzo della temperatura media del nostro
pianeta di qualche frazione di grado, ma lo si tende a collegare
all'effetto serra). Questo significa che deve esistere un metodo per
ridistribuire il calore che la Terra riceve dal Sole.
Gli oceani e l'atmosfera sono i due mezzi tramite i quali il calore
viene trasportato dalle zone equatoriali a quelle polari. Vediamo in
questo paragrafo il contributo dell'atmosfera.
Il primo modello che cercò di spiegare come avviene tale
trasporto è noto come circolazione di Hadley, dal nome del
fisico che per primo lo introdusse nel 1735. In tale modello si fa
l'ipotesi di poter trascurare la rotazione terrestre, che, come vedremo
più avanti, comporta in realtà sostanziali
variazioni al modello di Hadley.
Il calore assorbito dalla Terra intorno all'Equatore scalda le masse
d'aria soprastanti, le quali, dilatandosi, diventano meno dense,
più leggere e salgono verso le alte quote della troposfera.
Questa risalita d'aria genera alle basse quote una zona di bassa
pressione, mentre in quota l'apporto di aria dagli strati sottostanti
crea una zona di alta pressione.
Ai Poli invece il bilancio termico negativo genera un raffreddamento
dell'aria che, più densa, si porta dagli strati superiori,
dove si crea una zona di bassa pressione, verso il suolo, dove al
contrario si genera un'alta pressione. Quindi al suolo masse d'aria
fredda vengono spinte dall'alta pressione polare verso la bassa
pressione equatoriale, mentre in quota aria calda viene spinta dalle
alte pressioni equatoriali verso le basse pressioni polari. Questo
modello teorico è sì in grado di spiegare la
ridistribuzione del calore, ma non rispecchia ciò che accade
nella realtà, dove non si osserva una circolazione delle
masse d'aria tra i Poli e l'Equatore lungo i meridiani, come descritto.
La rotazione terrestre ha infatti l'effetto di deviare verso destra le
masse d'aria in movimento nell'Emisfero Boreale e verso sinistra quelle
nell'Emisfero Australe (in fisica questa spinta verso destra o sinistra
prende il nome di forza di Coriolis).
La deviazione delle masse d'aria dà all'atmosfera terrestre
una dinamica differente da quella prevista da Hadley, dinamica che va
sotto il nome di circolazione generale dell'atmosfera. Così
le masse d'aria, dopo essere salite in quota all'Equatore, non riescono
ad arrivare fino ai Poli: intorno ai 30° di latitudine
riscendono verso il suolo, dando origine a una fascia di alte pressioni
subtropicali, in corrispondenza delle quali si trovano i deserti
più estesi del pianeta. Intorno ai 60° gradi di
latitudine si trova invece una fascia di basse pressioni, dove l'aria
sale fino alle quote superiori, per poi raggiungere i Poli.
A questa fascia di basse pressioni appartiene ad esempio il Ciclone
d'Islanda, che è tra i principali responsabili delle
condizioni meteorologiche sull'Europa. Questo modello, che rispetto al
quello di Hadley trova effettivamente riscontro nelle osservazioni, non
va però inteso come immobile: quella descritta è
solo una situazione media. Non è infatti raro che il Ciclone
d'Islanda si spinga con profonde saccature fino alle latitudini del
Mediterraneo o che l'Anticiclone delle Azzorre raggiunga le isole
britanniche.
Paolo Corazzon - Centro Epson
Meteo
Clima
Insieme
delle condizioni atmosferiche caratteristiche di
una
regione. Tali condizioni possono essere normali o anormali. Il clima si
puo' dividere, secondo la sua caratteristica principale, in: freddo,
caldo, secco, umido, temerato, marittimo, continentale, tropicale ...
Condensazione
Le nubi del
cielo così come le nebbie e le brine
devono la loro origine al fenomeno della condensazione. Una massa
d'aria può condensare per due motivi: o per immissione di
vapore acqueo o per raffreddamento. Quasi tutti i giorni abbiamo
davanti ai nostri occhi esempi di condensazione di entrambi i tipi.
La formazione della nuvolosità è uno di questi.
Le nubi si formano sostanzialmente per sollevamento di masse di aria
che può verificarsi per diversi motivi; in ogni caso il
sollevamento comporta un raffreddamento dell'aria ed è
questo che provoca la condensazione. Infatti, man mano che la
temperatura dell'aria in ascesa diminuisce, è minore anche
la quantità di vapore che può essere contenuta
nella massa d'aria fino a che non vengono raggiunte le condizioni di
saturazione: il vapore acqueo presente è il massimo che la
massa d'aria può contenere.
Se la temperatura si abbassa ancora, il vapore incomincia a condensare
ed inizia così la formazione della nube. Anche la nebbia per
irraggiamento si forma a causa del raffreddamento degli strati di aria
prossimi al suolo; infatti, durante la notte, il suolo perde calore per
irraggiamento raffreddandosi. Il conseguente abbassamento di
temperatura dell'aria innesca il processo di condensazione descritto
sopra.
È possibile, inoltre, che si formino nebbie per sollevamento
delle masse d'aria lungo pendii, oppure quando una massa d'aria calda
si sposta su una superficie più fredda. In ogni caso
è sempre il raffreddamento dell'aria e la conseguente
saturazione a provocare il fenomeno.
Per lo stesso motivo si forma la rugiada: si tratta di condensazione
dell'acqua sopra la vegetazione che riveste il suolo, soprattutto nelle
notti serene, quando il raffreddamento è maggiore. Quando il
suolo si raffredda molto fino a temperature al di sotto di quella di
congelamento dell'acqua si può avere la formazione di
cristalli di ghiaccio sopra le superfici ossia la brina.
Come accennato, anche l'immissione di vapore può provocare
la condensazione, senza, quindi, che la temperatura dell'aria
diminuisca. Un esempio di ciò sono le nebbioline che si
possono osservare su terreni molto umidi, ad esempio dopo giorni di
pioggia: il suolo fornisce vapore in grande quantità agli
strati d'aria adiacenti ad esso, al punto che l'elevato contenuto di
acqua allo stato gassoso produce saturazione. Anche masse d'aria su
distese d'acqua, in particolari condizioni, possono arricchirsi di
vapore e condensare.
Michele Maddalena - Centro Epson
Meteo
Coriolis
(forza di)
Per tutti
gli appassionati è un passaggio
obbligato: quando la curiosità per i fenomeni atmosferici ci
porta a leggere un manuale di meteorologia ecco comparire il nome di
questo signore (da leggere alla francese, con l'accento sulla i finale)
e la sua forza misteriosa.
La forza di Coriolis è necessaria per descrivere i fenomeni
fisici in un sistema che ruota, nel nostro caso, la Terra; insieme alla
forza centrifuga essa è una di quelle forze (talora chiamate
'apparenti') che si originano nei sistemi di riferimento soggetti a
rotazione o a variazioni di velocità, come la giostra o
l'automobile. Il motivo per cui la forza di Coriolis ci è
assai meno familiare della forza centrifuga, che sperimentiamo tutti i
giorni, è solo che essa è troppo debole per
essere avvertita dal nostro corpo mentre corriamo a andiamo in
automobile.
Qualitativamente, si può intuire l'origine di questa forza
con il seguente esperimento mentale: stiamo osservando dallo spazio un
proiettile sparato dal polo Nord verso l'equatore, e immaginiamo di
osservare la rotazione terrestre, che sotto di noi avviene in senso
antiorario. Poiché il proiettile non è vincolato
alla superficie esso giungerà, per noi senza sorpresa, a
destra del bersaglio verso cui era stato lanciato; invece, per chi
è rimasto a terra, è come se un filo invisibile
avesse a poco a poco curvato la sua traiettoria. Se ripetessimo
l'esperimento in maniera simmetrica nell'altro emisfero, guardando dal
polo Sud, troveremmo che il colpo ha mancato il bersaglio
perché deviato a sinistra. Nella pratica noi descriviamo i
fenomeni atmosferici con un sistema di riferimento solidale con il
pianeta, non da un punto fisso dello spazio, ed ecco spiegato
perché è comodo introdurre la forza di Coriolis,
un filo invisibile che modifica il moto dei proiettili, ma anche delle
masse d'aria. Si può dimostrare matematicamente che la forza
di Coriolis cambia segno nei due emisferi, che la sua
intensità è direttamente proporzionale alla
velocità dei corpi, ed infine che essa vale zero
all'equatore, per diventare massima ai poli.
I moti delle masse d'aria sono profondamente influenzati dalla forza di
Coriolis, specie alle medie ed alte latitudini: cicloni e depressioni
extra-tropicali esistono perché la forza deviante tende
continuamente a bilanciare la forza di gradiente (dovuta alle
differenze di pressione): dove la forza deviante è
più intensa, vicino ai poli, si formano le depressioni
più profonde. Di più, gran parte della dinamica
dell'atmosfera, può essere interpretata come un continuo
gioco di equilibrio tra le forze di pressione e la forza di Coriolis:
quando questo equilibrio viene meno nascono i moti verticali, quindi le
perturbazioni e tutto quello che ne consegue (per questi argomenti
vedere i capitoli sul vento geostrofico, sulla forza di gradiente)
Concludiamo con una curiosità: la forza di Coriolis non
influenza solo le traiettorie delle masse d'aria; alle alte latitudini
l'azione continua della forza deviante fa sì che le ruote
dei treni consumino di più la rotaia di destra.
Lorenzo Danieli - Centro Epson
Meteo
Correnti in
quota
Termine
generalizzato per i movimenti dell’aria
ad una
quota di circa 5.500m (500 hPa). Con le correnti in quota è
possibile descrivere una situazione meteorologica a grande scala.
Dew
Point (punto di
rugiada)
L'umidità
relativa consente la conoscenza di
quanto sia
prossima la saturazione, ma non serve a fornire direttamente
l'effettiva quantità di vapore acqueo presente
nell'atmosfera.
In meteorologia, invece, è molto utile conoscere l'effettiva
quantità di vapor acqueo, per prevedere più
accuratamente
l'arrivo di una perturbazione o la formazione delle nubi. La
temperatura del punto di rugiada fornisce questa informazione in modo
diretto.
Il punto di rugiada è espresso in °C e, pur essendo
dimensionalmente una temperatura, non influisce sulla effettiva
temperatura dell'aria che normalmente è più alta
del
punto di rugiada.
Per definizione diciamo quindi che il punto di rugiada è il
valore di temperatura (in °C) a cui l'aria dovrebbe essere
raffreddata (a pressione costante) per raggiungere il 100% di
umidità relativa, ovvero, per saturarla di vapore. Lo scarto
tra
i valori di temperatura e il punto di rugiada indica il tasso
d'umidità relativa dell'aria.
Evapotraspirazione
L'evapotraspirazione è una variabile o grandezza fisica usata in agrometeorologia.
Consiste nella quantità d'acqua (riferita all'unità di tempo) che dal terreno passa nell'aria allo stato di vapore per effetto congiunto della traspirazione, attraverso le piante, e dell'evaporazione, direttamente dal terreno. È spesso indicata nei manuali con la sigla ET.
Il concetto ingloba due processi nettamente differenti, in quanto l'evaporazione esulerebbe a rigore dalla coltura, tuttavia non è possibile attualmente scorporare i due fenomeni e trattarli distintamente in modo attendibile. D'altra parte ai fini pratici interessa il consumo effettivo sia per evaporazione sia per traspirazione.
L'unità di misura è il mm (millimetro), inteso come altezza della massa d'acqua evaporata e traspirata, oppure il m³/ha (metro cubo ad ettaro). Essendo un fenomeno climatico inverso a quello delle precipitazioni, per convenzione si usa il millimetro in modo da rendere la grandezza direttamente comparabile con le precipitazioni. In ogni modo, tenuto conto che una massa liquida di 1 mm d'altezza che si estende su una superficie di 1 ha occupa il volume di 10 m³, 1 mm di evapotraspirazione equivale ad un consumo di 10 m³/ha.
Gli ambiti di studio e d'applicazione sono diversi secondo il contesto:
come indice dei consumi idrici delle colture è uno delle più importanti variabili utilizzate nella gestione razionalizzata dell'acqua irrigua;
è una variabile utilizzabile per la comparazione del potere evaporante dell'atmosfera in ambienti fisicamente diversi oppure nello stesso ambiente in periodi differenti oppure nello stesso ambiente con colture differenti;
è una variabile utilizzabile per valutare la vocazione di un comprensorio ad ospitare una determinata coltura.
La misura diretta si effettua con i lisimetri di precisione. Si tratta di sofisticati e costosi impianti installati presso istituti di ricerca allo scopo di tarare altri strumenti di misura o metodi di stima basati sul rilevamento di altre variabili climatiche. I lisimetri hanno inoltre un limite operativo nel fatto che non consentono la misura diretta dell'evapotraspirazione in certi contesti come una piantagione arborea o una foresta.
La stima dell'evapotraspirazione si basa sull'applicazione di formule matematiche che permettono il calcolo dell'evapotraspirazione in funzione di una o più variabili climatiche di facile rilevamento. In generale si tratta di metodi empirici più o meno approssimativi che non danno un'esatta percezione dell'evapotraspirazione ma che opportunamente tarati nel contesto in cui si applicano possono dare informazioni più semplici e immediate e, soprattutto, economicamente sostenibili rispetto alla misura diretta.
Negli ultimi 60 anni sono state elaborate formule estimative poco adatte ai fini pratici. In definitiva si trattava di metodi tarati per contesti limitati e per rilevamenti ambientali adatti ad analisi temporali di medio e lungo periodo. In seguito, la FAO ha proposto adattamenti di questi metodi con l'applicazione di coefficienti correttivi che tengono conto di specifiche variabili climatiche. I metodi proposti dalla FAO stimano l'evapotraspirazione potenziale standard (ETPs).
Favonio
Vento caldo
proveniente da ponente. In Italia normalmente
e'
presente nel nord-ovest, e quando spira tende a liberare il cielo dalle
nubi.
Föhn
(da nord)
Quando
l’arco alpino è interessato da
forti correnti
da nordovest o da nord, sulla parte meridionale delle Alpi si manifesta
il fenomeno del Föhn. Si tratta di un "vento di caduta" che
porta
a compressione adiabatica e conseguente netto abbassamento del tasso di
umidita' delle masse d’aria. Le nuvole si dissolvono e
l’atmosfera diventa molto limpida. In quota spira un forte e
freddo vento da nord, in valle spesso un vento a raffiche relativamente
caldo. Puo' talvolta essere un vento preparatore di neve.
Fronte
caldo
Superficie
di separazione di due masse d’aria:
l’aria
calda si muove nella direzione dell’aria fredda,
sollevandosi.
Gli effetti di un fronte caldo sono spesso nubi stratificate,
precipitazioni in forma continua ed estesa e un riscaldamento
dell’aria.
Fronte
freddo
Superficie di separazione di due masse d’aria:
l’aria
fredda si spinge sotto l’aria più calda. Gli
effetti di un
fronte freddo sono nubi prevalentemente convettive (estese in
verticale), precipitazioni a carattere di rovescio, un raffreddamento
dell’aria e un rafforzamento del vento.
Gragnuola:
tipo di precipitazione. I chicchi di gragnuola si formano sempre per i
ripetuti moti ascendenti e discendenti in una nube convettiva, che non
presenta acqua liquida in nessuna parte. Perciò i chicchi
sono
formati da ghiaccio, con intrusioni di bolle d’aria.
Grandine
Alle nostre
latitudini, dopo la tromba d'aria, il temporale
è senza dubbio il fenomeno meteorologico più
violento.
Le precipitazioni provocate dai temporali sono in genere molto
abbondanti e talvolta alla pioggia si unisce la grandine (granelli di
ghiaccio con diametro superiore a 5 millimetri). Ma come si formano i
chicchi di grandine? All'interno del cumulonembo, nello strato di nube
in cui la temperatura è compresa fra 0°C e
-10°C, coesistono cristallini di ghiaccio e goccioline d'acqua
sopraffuse, cioè rimaste allo stato liquido malgrado la
temperatura negativa.
In queste condizioni particolari i cristalli di ghiaccio tendono ad
accrescersi per processi di sublimazione (passaggio dallo stato di
vapor acqueo a quello di ghiaccio) a spese delle goccioline di acqua
che tendono invece ad evaporare. Questi piccolissimi granuli di
ghiaccio, mantenuti all'interno della nube temporalesca da imponenti
correnti ascendenti, collidono con le goccioline sopraffuse accrescendo
ulteriormente le proprie dimensioni.
Se i moti convettivi sono deboli, i granuli di ghiaccio, una volta
raggiunto l'apice della nube, dove le correnti ascendenti divergono,
precipiteranno verso il suolo attraversando strati d'aria con
temperatura relativamente elevata e raggiungeranno il terreno sotto
forma di pioggia; se invece le correnti ascendenti sono intense, le
particelle resteranno a lungo nella nube e gli intensi moti vorticosi
in essa presenti, per molte volte ancora, li trasporteranno in alto,
poi in basso e ancora verso l'alto, consentendo, ad ogni ciclo, la
formazione di un nuovo rivestimento di ghiaccio.
Quando i chicchi di grandine saranno diventati tanto pesanti da non
poter essere più sorretti dalle correnti ascendenti,
precipiteranno violentemente verso il suolo con le conseguenze che
tutti conoscono.
Come è possibile risalire all'età di una pianta
contando gli anelli del tronco, è possibile risalire al
numero di cicli che il granello è riuscito ad effettuare
all'interno della nube contando i gusci concentrici di cui è
formato. Se ne possono trovare anche più di una ventina.
In questa caratteristica "stratificazione a cipolla" si alternano
strati di ghiaccio opaco (biancastro) a strati di ghiaccio trasparente;
questi ultimi si formano nella zona della nube in cui sono presenti i
moti ascendenti, dove cioè la quantità di
goccioline sopraffuse è elevata, mentre gli strati
biancastri, cioè ricchi di bolle d'aria, si formano nella
regione in cui il chicco cade, cioè dove il contenuto
d'acqua è meno abbondante.
Laura
Bertolani - Centro Epson Meteo
Indice di
Calore (Heat Index)
La
sensazione di calore percepita nelle
giornate calde
dall’organismo dipende dal sistema principale di
termoregolazione: la sudorazione. Il sudore è costituito
principalmente da acqua e viene secreto dalle oltre tre milioni di
ghiandole sudoripare sparse sull’epidermide.
L’evaporazione
del sudore sottrae calore alla pelle (si dice che
l’evaporazione
è un fenomeno endotermico) e quindi permette di abbassare la
temperatura di tutto l’organismo.
L’umidità atmosferica interferisce con questo
processo,
poiché il vapore acqueo è già presente
in soluzione
nell’aria. L’evaporazione del sudore porterebbe
nell’aria circostante altro vapore acqueo e questo
può
risultare difficile, in caso di umidità elevata, ma anche
impossibile.
Tipica è la situazione in cui si cerca di far asciugare il
bucato di notte e lo si ritrova la mattina dopo più bagnato
di
prima.
Allo stesso modo l’organismo non riesce più a ben
termoregolarsi dal momento che il processo della sudorazione viene
ostacolato dall’umidità atmosferica:
l’acqua
presente nel
sudore non evapora più a sufficienza e la temperatura della
pelle non diminuisce più abbastanza. Da qui la sensazione di
calore superiore alla temperatura reale, dovuta sia alla temperatura
che all’umidità atmosferiche, a cui si aggiunge la
fastidiosa
sensazione del sudore che ristagna sulla pelle.
L’umidità di cui parliamo è
l’umidità relativa
dell’ambiente in percentuale sulla massima
quantità di acqua che
si può solubilizzare nell’aria ad una data
temperatura.
Per cui data una temperatura è determinabile la
concentrazione
massima di acqua nell’aria, da cui, misurando la
quantità di
acqua effettivamente presente si calcola una percentuale
(l’umidità relativa, appunto); questa percentuale
va quindi a
influenzare la nostra percezione della temperatura e ci fornisce la
temperatura effettivamente percepita dall’organismo,
l’indice di calore.
Detto questo ci sono vari metodi di calcolare questa temperatura
effettivamente percepita dall’organismo poiché
esistono
ipotesi e modelli differenti che legano temperatura e
umidità relativa
in una funzione che fornisce l’indice di calore.
L’Heat
Index si calcola ad esempio tramite la seguente formula
HI
=
-42.379 + 2.04901523T + 10.1433127R - 0.22475541TR -
6.83783×10-3 T2 - 5.481717×10-2 R2
+
1.22874×10-3T2R + 8.5282×10-4 TR2 -
1.99×10-6 T2 R2
con T in gradi Fahrenheit ed R è
l’umidità relativa.
Vengono quindi creati algoritmi semi-empiriche che non sono applicabili
per qualsiasi intervallo di temperatura di umidità . Un
modello di
indice di calore estivo di solito ha senso applicarlo per temperature
superiori ai 27°C e umidità relativa superiore al
40% (al di sotto
della quale la temperatura effettiva ottenuta con l’indice di
calore si più ritenere coincidente con la temperatura reale.
Anche a temperature superiori ai 45°C o umidità
relative superiori
al 90% si hanno risultati con pochissima affidabilità .
Il
sito per il calcolo dell’indice di calore con i modelli
Heat Index / Apparent Temperature (Steadman, 1979)
Summer Simmer Index (Pepi, 1987)
Humidex (introdotto originariamente in Canada, 1965)
formule
per calcolo indici di calore
Tabelle
dell’indice di calore Humidex e dell’indice di Thom
(indice di disagio)
Ovviamente anche la sensazione di freddo è accentuata da una
elevata umidità , ma il fenomeno che più
influenza questa
sensazione è quello dovuto all’effetto
raffreddamento del
vento, il cosiddetto windchill.
Instabilità
Durante la
stagione primaverile, seguendo le previsioni
meteorologiche in televisione o leggendo i bollettini meteo su riviste
e quotidiani, sovente capita di sentir parlare di
instabilità pomeridiana: ma cos'è questa
famigerata instabilità? E perché puntualmente
torna a far capolino con la primavera, dopo un apparente "letargo
invernale"?
Per instabilità si intende, in meteorologia, il fenomeno per
cui masse d'aria a quote differenti tendono a rimescolarsi: solitamente
aria più calda rispetto a quella circostante tende a
sollevarsi, lasciando così spazio ad aria più
fredda in discesa dagli strati superiori. Perché possa
verificarsi questo fenomeno è però necessaria una
certa differenza di temperatura tra gli strati d'aria più
bassi e quelli più alti. Quanto più è
calda l'aria negli strati inferiori rispetto a quella in quota, tanto
maggiore sarà l'instabilità che si crea.
Perché dunque questo fenomeno torna a presentarsi con
frequenza solo a partire dalla stagione primaverile? Perché
proprio con la primavera le masse d'aria fredda in arrivo
dall'Atlantico scorrono su un suolo maggiormente riscaldato rispetto al
periodo invernale: l'aria si scalda così dal basso, dando
quindi luogo al fenomeno dell'instabilità, proprio come in
una pentola, dove l'acqua a contatto con il fondo della pentola si
scalda e sale.
Ma è così importante questa
instabilità? Per rispondere basta segnalare che questo
fenomeno è una delle principali cause di formazione di nubi
e rovesci in primavera ed estate.
Andrea Giuliacci - Centro Epson
Meteo
Una massa d'aria si dice instabile quando al suo interno si creano
correnti ascensionali o convettive. La presenza di queste correnti
è uno degli elementi più importanti per la
formazione di nubi cumuliformi (cumuli e cumulonembi), alle quali
possono essere associate piogge anche di forte intensità.
Per un meteorologo quindi individuare una condizione di
instabilità permette di prevedere lo sviluppo di nubi
cumuliformi ed eventualmente il verificarsi di temporali o rovesci.
Per farlo, il meteorologo ha a disposizione alcuni indici
fisico-matematici, elaborati dai centri meteorologici mondiali che
riescono a quantificare il grado di instabilità di una massa
d'aria partendo dalle sue caratteristiche fisiche (temperatura,
umidità,…) e dalle condizioni meteorologiche
(venti, pressione atmosferica, andamento della temperatura dell'aria
con l'altezza,…).
In realtà ci sono anche altri sintomi tipici dell'aria
instabile che chiunque può utilizzare per riconoscere il
grado di stabilità o instabilità dell'aria.
Sono, ad esempio, sintomi di instabilità
questi fattori:
-
presenza di
nubi cumuliformi;
-
vento in
intensificazione nelle ore più calde della giornata;
-
brezze molto
attive sin dal primo mattino;
- il
fumo in
uscita dai camini o dalle ciminiere ha aspetto serpeggiante.
Al contrario sono sintomi di stabilità:
-
presenza di
nubi stratiformi;
-
venti deboli
e brezze quasi assenti;
- il
fumo in
uscita dai camini forma una lunga scia orizzontale;
- le
città sono ricoperte da un sottile strato di caligine.
Oltre a questi fattori, il contributo del riscaldamento solare aumenta
il livello di instabilità e può diventare
l'elemento determinante per lo sviluppo di nubi torreggianti e di
temporali: nelle ore pomeridiane e serali di una calda giornata
primaverile o estiva, il suolo si scalda molto e trasmette il calore
agli strati d'aria a diretto contatto. Questi si scaldano, si dilatano
e iniziano a salire nell'atmosfera; se la temperatura della bolla
d'aria in risalita rimane più alta di quella degli strati di
atmosfera che sta attraversando, l'ascesa continua e si può
arrivare con facilità alla formazione di nubi temporalesche.
Ecco perché un altro fattore determinante per
l'individuazione del grado di instabilità dell'atmosfera
è l'andamento della temperatura con l'altezza. In vari
aeroporti italiani e mondiali ogni giorno per più volte al
giorno vengono lanciati palloni sonda in grado di misurare la
temperatura dell'aria a vari livelli fornendo così ai
meteorologi un elemento in più per prevedere i soliti
"imprevedibili" temporali.
Paolo Corazzon - Centro Epson
Meteo
Inversione
termica (questa
sconosciuta)
E' l'inversione della normale variazione dell'andamento della
temperatura negli strati bassi dell'atmosfera. Salendo di quota,
anziché diminuire, la temperatura aumenta. Questo fenomeno
può verificarsi fino a una quota variabile generalmente da
poche
centinaia di metri a oltre 1000 metri ed è tipico dei
fondovalle
e delle pianure. La sua frequenza e' maggiore in situazioni di alta
pressione, ad esempio durante le notti stellate e invernali quando
l'irraggiamento notturno è più accentuato. E' una
delle
cause principali per la formazione della nebbia, e la si puo' notare
chiaramente dai colli o dalle montagne sotto forma di uno strato di
foschia, al cui interno rimangono gli elementi inquinanti. Tende a
scomparire quando si verificano delle precipitazioni, poiche' queste
livellano le temperature e le riportano al loro normale andamento (una
diminuzione di circa 0,6° ogni 100 metri di quota in piu').
Talvolta l'inversione termica puo' verificarsi a quote piu' elevate,
anche se in misura molto piu' ridotta.
Isobare
Linee che uniscono punti contigui ad uguale pressione atmosferica.
Isoipse
In
meteorologia è frequente sentire frasi del
tipo "La situazione a 850 ettopascal…" oppure "Osservando la
temperatura a 500 ettopascal…". Ma cosa sono questi 850 o
500 ettopascal? Se le stesse frasi fossero tramutate in "La situazione
a 1500 metri di quota…" e "Osservando la temperatura a 5500
metri…" tutto filerebbe liscio. Ecco, senza addentrarci
troppo nella questione, è sufficiente sapere che alle
espressioni tipo 850, 700, 500 ettopascal si possono associare
effettivamente delle quote, delle altitudini. In realtà, per
essere più precisi, l'ettopascal è
un'unità di misura della pressione; ma con l'espressione "a
850 ettopascal" si intende "alla quota a cui la pressione atmosferica
vale 850 ettopascal".
Nelle mappe meteorologiche tale quota è rappresentata
tramite una grandezza detta altezza di geopotenziale: essa è
per definizione la quota alla quale la pressione atmosferica
è pari a un determinato valore. Le linee che uniscono i
punti in cui tale altezza di geopotenziale, assume lo stesso valore
vengono dette isoipse. Si tratta di linee chiuse a ciascuna delle quali
è associato un numero: tale valore rappresenta la quota alla
quale ci si riferisce, espressa solitamente in metri o decametri. Ad
esempio se in una "carta a 850 ettopascal" (cioè in una
mappa nella quale il valore dei parametri rappresentati quali
temperatura, venti, umidità è quello che essi
assumono "alla quota di 850 ettopascal"), su una isoipsa si legge il
valore 1500, significa che in tutte le località attraversate
da quella linea la pressione di 850 ettopascal è raggiunta a
un'altitudine di 1500. Se invece si legge un valore dell'ordine delle
centinaia, ad esempio 150, significa che l'unità di misura
utilizzata è il decametro: 150 decametri = 1500 metri.
Analogamente a quanto accade per le isobare al suolo, il valore delle
isoipse non è importante in senso assoluto, ma in senso
relativo. Nella ragnatela delle isoipse diventa così
possibile individuare massimi e minimi, normalmente indicati con le
lettere A e B oppure H e L (High, Low), proprio come nelle "carte al
suolo" si individuano le zone di alta e bassa pressione racchiuse dalle
isobare. Si può anche dimostrare che in quota l'aria si
muove approssimativamente lungo le isoipse, lasciando alla propria
destra valori più elevati e alla propria sinistra valori
più bassi dell'altezza di geopotenziale. La rappresentazione
delle isoipse nelle carte è quindi di fondamentale
importanza per l'individuazione del movimento delle masse d'aria alle
varie quote. In definitiva le isoipse in quota possono essere
interpretate, a grandi linee, come le isobare al suolo.
Paolo Corazzon - Centro Epson
Meteo
Isoterme
Linee che uniscono punti contigui ad uguale temperatura.
Jet Stream
(corrente a
getto)
Una corrente a getto (in inglese jet stream) è un flusso
d'aria di sezione relativamente piccola, che fluisce velocemente; si
forma nell'atmosfera terrestre alla quota di circa 11 km dalla
superficie, appena sotto la tropopausa, in genere ai confini tra masse
d'aria adiacenti con significative differenze di temperatura, come
quella della regione polare e dell'aria più calda a sud.
Le principali correnti a getto sono venti zonali che fluiscono da ovest
verso est sia nell'emisfero boreale che australe; questo è
dovuto alla forza di Coriolis causata dalla rotazione della Terra. I
percorsi dei flussi d'aria mostrano delle tipiche forme a meandro, e
queste forme stesse si propagano verso est, a velocità
minore dell'effettivo vento al loro interno.
Massa d'aria
Grande volume di aria, che si estende in orizzontale per più
di 500 km e ha uno spessore di almeno 1 km.
Nebbia
Si parla di nebbia quando ci si trova all’interno di una nube
e
la visibilità è molto ridotta (meno di 1 km).
Neve
La
formazione della neve, come peraltro quella della
pioggia, è un fenomeno molto complesso.
Le nuvole sono costituite di microscopiche goccioline d’acqua
(droplet) del diametro di 10-50 micron, formatisi
dall’aggregazione di miliardi di molecole di H2O del vapore
saturo o soprasaturo attorno a dei nuclei di condensazione costituiti
da grani di pulviscolo atmosferico ( sale marino, solfati o nitrati),
denominati nuclei di Aitken. Nelle nuvole a temperatura positiva, le
gocce di pioggia (diametro 0,5- 0,2mm) si formano per urto reciproco
(coalescenza) delle “droplet”. In quelle a
temperatura
negativa avvengono altri fenomeni:
- Innanzitutto le goccioline d’acqua possono
rimanere allo
stato liquido (soprafusione) sino a circa – 40 °C
(temperatura che troviamo di norma a partire dagli 8 Km di altezza).
- Alcune impurità, dette nuclei di congelamento o
germi di
ghiaccio, hanno la capacità di coagulare (sublimare) il
vapore
d’acqua formando dei microscopici cristalli di ghiaccio.Tale
effetto pare avere un massimo di efficacia nella parte della nube dove
le temperature sono comprese tra –12 e – 17
°C.
- La tensione di vapore di saturazione dell’acqua
soprafusa
è maggiore di quella del ghiaccio alla stessa temperatura
con un
massimo attorno i – 15 °C ( vedi fig. 1; attenzione
la scala
delle ordinate è logaritmica!) e quando l’aria
è
satura o soprasatura rispetto al liquido essa è maggiormente
soprasatura rispetto al ghiaccio (ciò è dovuto al
fatto
che il passaggio dal solido al vapore, la sublimazione, richiede una
energia superiore di quella richiesta dall’evaporazione).
Ciò comporta un passaggio di molecole di vapore
dall’ambiente al microcristallo, vapore in parte reintegrato
dall’evaporazione delle goccioline d’acqua che
vedono la
loro massa ridursi mentre quella del cristallo aumenta (processo di
Bergeron-Fidstein).
- Dato che il grado di soprasaturazione dell'aria rispetto al
ghiaccio può essere piuttosto elevato, la crescita dei
cristallini, fino a delle dimensioni abbastanza grandi (qualche
centinaio di micron) da farli cadere verso terra,. è in
genere
rapida.
- Durante a loro caduta essi possono ingrandirsi
ulteriormente
urtando contro le goccioline soprafuse della nube, le quali congelano
immediatamente sulla loro superficie (brinamento); il cristallo con
questo processo può trasformarsi in una pallina di ghiaccio
tenero (neve granulosa). I movimenti turbinosi dell'aria possono talora
provocare la rottura del cristallo; i frammenti che ne derivano
diventano a loro volta nuovi germi di ghiaccio innescando
così
una specie di reazione a catena che dà origine a
numerosissimi
nuovi cristalli, i quali, aggregandosi tra di loro vengono a formare i
caratteristici fiocchi di neve.
Fig.
1 Tensione di
vapore del ghiaccio e dell’acqua (soprafusa)
Se la temperatura dell'aria negli strati più bassi
è >
di 0°C su un sufficiente spessore, i fiocchi fondono e
continuano
la loro caduta sotto forma di gocce pioggia; in caso contrario
raggiungono il suolo e, se questo è sufficientemente freddo,
generano un accumulo di neve
Il primo scienziato che trattò dei cristalli di neve
ponendosi
delle domande sulla ragione della loro simmetria esagonale fu Keplero
agli inizi del 600’. Nel 1635 Cartesio diede la prima
descrizione
di alcuni tipi di essi, assai accurata compatibilmente con il fatto di
poterli osservare al più attraverso una semplice lente. Nel
1665
il fisico inglese Hooke pubblicò un grosso volume,
intitolato
“Micrografia”, contenente disegni di piccoli
oggetti e di
particolari, risultato di una enorme quantità di
osservazioni
fatte con il microscopio, da poco inventato. Tra questi figuravano vari
tipi di cristalli di neve, con evidenziati dettagli che mai si erano
visti prima. Nel 1931 i microfotografi americani W. A. Bentley e W.J.
Humphreye diedero alle stampe un famoso volume : “Snow
Crystals” contenente 2000 immagini di cristalli; tale opera,
un
classico è stato ristampata di recente. Ancora, negli anni
30’, il fisico nucleare giapponese Ukichiro Nakaya fece
approfonditi studi sulla loro natura riuscendo anche a produrli
artificialmente. Il suo fondamentale lavoro è stato
pubblicato
nel 1954 con il titolo “Snow Cristals: Natural and
Artificial”
La morfologia.dei cristalli di neve è determinata sopratutto
dall’ambiente (grado di soprasaturazione, temperatura) dove
si
sviluppano, secondo lo schema indicato qui sotto:
Fig.
2 Morfologia dei
cristalli neve in funzione delle condizioni ambientali
(temperatura e soprasaturazione rispetto al ghiaccio)
Tali morfologie sono state classificate nel 1951 dalla Commissione
Internazionale della Neve e del Ghiaccio come indicato in figura 3 . Vi
si evidenziano 7 tipi principali: a piastre (plates), a stelle (stellar
crystals), a colonne (columns), ad aghi (needles), a dentriti spaziali
(spatial dentrites), a colonne a cappello (capped columns), ed a forma
irregolare (irregular particles), cui si aggiungono tre tipi di
precipitazione ghiacciata: neve granulosa friabile (graupel), gragnuola
(ice pellets) e grandine (hail).
Nubi
Una
nuvola, o nube, e' una massa visibile di piccole goccioline o cristalli
di ghiaccio sospesi nell'atmosfera, sopra la superficie terrestre.
Le nubi sono costituite di vapore acqueo, che, condensandosi, forma
piccole goccioline d'acqua o cristalli di ghiaccio della dimensione da
1 a 100 micron (solitamente di solitamente di 0,01 mm di diametro). Si
formano per condensazione: quando l'acqua terrestre evapora, si
trasforma in vapore acqueo che risale nell'atmosfera raffreddandosi,
per condensarsi attorno a piccole impurita' (cristalli di sale marino,
particelle di polvere...) generando cosi' goccioline d'acqua o
cristalli di ghiaccio.
Questi elementi rimangono sospesi nell'aria sostenuti in movimento
verso l'alto, possono evaporare e riformarsi, la loro velocita' di
caduta e' di millimetri al secondo, quindi impercettibile e la
quantita' d'acqua condensata non supera il grammo per metro cubo di
vapore acqueo. Le quantita' variano secondo l'estensione verticale ed
orizzontale delle nuvole.
Quando si formano agglomerati di miliardi di goccioline, appare
visibile la nuvola, di un tipico colore bianco, dovuto all'alta
riflessione della luce (fra il 70% e il 95%) sulla superficie di queste
goccioline. Molto spesso, tuttavia, le nuvole dense appaiono grigie;
questo fenomeno e' dovuto all'alta dispersione della luce delle
goccioline che la compongono, e cosi' l'intensita' della radiazione
solare diminuisce con la profondita' nella nube, da cio' il colore
grigio, o talvolta anche piu' scuro, alla base della nuvola.All'alba e
al tramonto, le nuvole posso assumere la colorazione del cielo,
soprattutto arancione e rosa. Attorno alla lunghezza d'onda
dell'infrarosso, le nuvole apparirebbero piu' scure perche' l'acqua che
le costituisce assorbirebbe fortemente la luce solare a questa
lunghezza d'onda.
Formazione
delle nuvole
Il complesso fenomeno della formazione delle nubi puo' essere cosi'
riassunto:
in seguito all'irraggiamento solare, la temperatura della superficie
terrestre aumenta e per conduzione termica si scalda anche l'aria a
contatto con essa; poiche' l'aria calda e' piu' leggera, questa si
solleva in una corrente ascensionale, portando con se' l'umidita'
contenuta (ovvero il vapore); salendo, l'aria si raffredda
adiabaticamente (adiabatica e' la velocita' con cui una massa d'aria
secca che si muove verticalmente si scalda o si raffredda. Corrisponde
a circa 1°C ogni 100m), raggiungendo il punto di saturazione
del
vapore, il quale pertanto si trasforma in minuscole goccioline di
acqua, che galleggiano nell'aria, formando per l'appunto le nubi. Se la
temperatura e' particolarmente bassa, queste si trasformano in
microscopici cristalli di ghiaccio.
Classificazione secondo la forma
Le nuvole hanno due forme caratteristiche, stratificate o a sviluppo
verticale (dette anche cumuliformi).
Le due diciture derivano dal fatto che, all'occhio umano, l'estensione
del corpo nuvoloso si presenta, nel primo caso, maggiore sul piano
orizzontale e minore su quello verticale, mentre, nel secondo,
l'estensione verticale della nube supera quella orizzontale.
Nubi stratificate |
Nubi a
sviluppo verticale |
Classificazione
secondo il tipo
Nubi alte
sono nubi sottili composte di ghiaccio (cirri), a quote comprese fra
6000 e 12000 metri. Non riescono a coprire il sole, che splende quasi
senza attenuazione. E' possibile la formazione di un alone,
cioè
di un circolo luminoso attorno al sole, posto a circa 22° di
distanza.
 |
Cirrostrati.
nubi molto alte e sottili, biancastre e quasi
trasparenti. Il sole è visibile (così come la
luna) con un alone
intorno. |
 |
Cirrocumuli.
Sono formati da piccoli fiocchi o batuffoli bianchi
disposti in file o gruppi; ricordano agli altocumuli, ma, ovviamente,
sono più alti e sono sempre accompagnati da cirri e da
cirrostrati. |
 |
Cirri. Sono formato da strie
biancastre, sottili, quasi
trasparenti, molto alte. La forma e' facile da
ricordare, infatti è
quella di una striscia terminante con un ricciolo ad uncino.
Sono
formati da cristalli di ghiaccio a causa della temperatura molto bassa
alla quale si formano. In genere indicano l'arrivo della pioggia |
 |
Cumulunembo.
Nuvola a cavolfiore che produce temporali |
Nubi
medioalte
nubi più
spesse (altostrati o altocumuli). Si trovano a quote comprese fra 3000
e 6000m. Talvolta il sole filtra attraverso le nubi, ma
l’ombra in
questo caso è solo debole.
 |
Altocumuli. Sono
banchi di nubi formati da tante piccole nubi
cumuliformi, in gruppi o file, a volte anche saldate tra loro;
è il
classico cielo a pecorelle (acqua a catinelle!). |
 |
Altostrati. Di
aspetto simili agli strati, ma più spessi e più
alti, producono a volte pioggia o neve. Il cielo
biancastro ricorda
una massa lattiginosa. |
Nubi basse (addensamenti)
sono nubi che si trovano sempre in presenza di precipitazioni e di
Stau. A volte si formano per inversione termica nelle valli. In questi
casi in montagna, al di sopra delle nubi, splende il sole.
 |
Stratocumuli.
Sono di forma arrotondata, molto grossi, di apparenza morbida. |
 |
Strati. Uniformi con la base
opaca e grigia, sembra che il cielo sia pitturato di cenere |
 |
Nembostrati. Di aspetto
scuro provocano pioggia continua o neve. |
Pioviggine
Si forma quando masse d’aria umida scorrono su un terreno
freddo.
La dimensione delle gocce è in genere molto ridotta.
Precipitazioni:
intensità e accumulo
Per
descrivere opportunamente un evento precipitativo si
utilizzano solitamente due parametri: l'intensità e la
quantità accumulata.
Nei resoconti delle osservazioni meteorologiche la quantità
di
pioggia caduta viene espressa in millimetri ed ogni singolo millimetro
equivale ad un litro di acqua piovana caduta su un metro quadrato di
terreno.
Per la neve e per la grandine è possibile esprimere una
misura
empirica in centimetri accumulati, anche se è preferibile
fornire sempre il corrispondente valore in millimetri d'acqua
equivalenti (un cm di neve fresca corrisponde all'incirca ad un mm
d'acqua). L'intensità della precipitazione si esprime di
conseguenza in millimetri orari (mm/h): spesso si distingue tra
l'intensità media, ovvero i millimetri totali diviso la
durata
del fenomeno, e l'intensità massima raggiunta nel corso
dell'evento.
Pressione
atmosferica relativa
La pressione
atmosferica relativa, che indica la pressione
equivalente al livello del mare, non è una grandezza
rilevata
direttamente dalla stazione meteo, ma è calcolata tenendo
conto
dell'altitudine della località in cui è situata
la
stazione stessa e della pressione atmosferica assoluta rilevata in tale
luogo.
Per rapportare al livello del mare il valore della pressione di una
determinata località, si può sommare al valore
della
pressione assoluta rilevata direttamente dalla stazione meteo, il
valore che si ottiene dal rapporto fra l'altitudine alla quale
è
posta la stazione stessa ed un coefficiente – di valore
assoluto
pari a 8,4 – ottenuto dalla considerazione che, nei primi
1000/2000 metri, ad un incremento dell'altitudine di circa 8,4 m
corrisponde un decremento della pressione atmosferica pari a circa 1
hpa. Per semplificare le cose si può fare ricorso ad
opportuni
correttori di pressione reperibili in rete, tra i quali si segnala
quello fornito dal National Weather Service Forecast Office, riportato
nel successivo link.
Strumento
correttore di pressione
L'
evoluzione del tempo si
basa essenzialmente su variazioni di pressione tra aree territoriali
confinanti.
Caratteristica
dell'aria che ci circonda è tendenza propria a ristabilire
certe
posizioni di equilibrio e che si manifestano tramite il vento.
La
causa di questi movimenti è da ricercarsi nel peso
dell’aria cioè nella
pressione atmosferica: dove l’aria è
più densa, quindi più pesante,
avremo alta pressione, dove è meno densa invece, bassa
pressione.
Poiché
l’aria tende a ristabilire il proprio equilibrio, quella
dotata di alta
pressione si sposterà verso le zone di bassa pressione
causando così la
circolazione atmosferica, con movimenti ascensionali, trasversali e
discensionali.
Sull’evoluzione del tempo influisce anche la
temperatura dell’aria che con le sue variazioni, dovute a
vari fattori,
modifica la densità e il grado di umidità
determinando la possibile
formazione di nuvole e precipitazioni, mediante la condensazione di una
parte dell’acqua che vi è contenuta in forma di
vapore acqueo.
La
pressione atmosferica insieme alla temperatura e
all’umidità determina
dunque le condizioni meteorologiche causando i fenomeni del vento,
della nuvolosità, delle precipitazioni.
A titolo
esemplificativo riportiamo la corrispondenza media il valore
dell'altitudine (m) e di pressione (mmHg) relative a quote medie:
Metri |
500
|
600
|
700 |
800 |
900 |
1.000 |
1.100 |
mmHg |
716 |
707 |
699 |
691 |
682 |
674 |
666 |
Metri |
1.300 |
1.400 |
1.500 |
1.600 |
1.700 |
1.800 |
1.900 |
mmHg |
650 |
642 |
635 |
627 |
620 |
612 |
605 |
Indicativamente
per quote comprese tra i 2000 m (598 mmHg), la pressione* scende di 1
mmHg per ogni 14 metri di aumento di altitudine.
* Per alta e bassa pressione s'intende la pressione atmosferica
misurata in un luogo e confrontata
con le aree geografiche circostanti.
Zone cicloniche e anticicloniche
Generalmente
nelle zone cicloniche confluiscono grandi masse d’aria che,
innalzandosi, si condensano originando forti annuvolamenti, mentre
nelle zone anticicloniche l’aria defluisce verso
l’esterno e verso il
basso, per cui riscaldandosi diviene più secca e non
dà luogo ad
annuvolamenti: per questo motivo generalmente le alte pressioni sono
portatrici dì bel tempo mentre le basse pressioni sono
veicolo di
maltempo.
La circolazione atmosferica generale e quindi le
condizioni del tempo nell’Europa occidentale (di conseguenza
anche
sull’arco alpino) sono legate allo spostarsi di due vaste
masse d’aria
stazionanti sul-l’Atlantico, aventi considerevole differenza
di
pressione: l’anticiclone delle Azzorre e l’area
ciclonica dell’Islanda.
Fra
queste due zone si estende sull’Oceano fino
all’Europa il fronte d’aria
fredda prove-niente da Nord e quello caldo proveniente da Sud, che
è
continuamente disturbato dal diverso grado di riscaldamento del mare e
delle terre emerse.
Questo causa la formazione di depressioni mobili
che si spingono sull’Europa, con il predominio dei venti
occidentali
che trasportano le successive depressioni intervallate a zone di alta
pressione: ecco la causa del « tempo instabile »
che spesso nel periodo
estivo investe la zona dell’arco alpino.
Il tempo bello stabile è
invece legato all’estendersi dell’anticiclone delle
Azzorre verso nord
e di quello siberiano verso ovest, e quindi nell’area
mediterranea, con
alte pressioni le cui massime durate si verificano in autunno e in
inverno, in corrispondenza di un effettivo spostarsi in quota del
centro di alte pressioni.
Le zone ad alta pressione sono dette
anticicloniche e quelle a bassa pressione cicloniche e, come si
è
visto, l’aria tende a spostarsi dalle prime alle seconde.
Le masse
d’aria in movimento fra le due aree non sono continue ma
separate da
una superficie, detta fronte, che divide masse d’aria con
temperature
diverse.
Generalmente il fronte caldo è indicato nelle mappe con le
isobare tramite triangolini di colore rosso, mentre il fronte freddo
è
indicato da triangolini blu.
Rovescio
Precipitazione solida o liquida da nubi convettive (nubi molto estese
in verticale). La precipitazione, spesso di breve durata, comincia e
finisce improvvisamente. Provocata normalmente da tempo molto
instabile, con nuvolosità fortemente variabile ("nubi
scure").
Tipica per estate e primavera, p. e. con temporali. È la
precipitazione tipica dei fronti freddi.
Rugiada
e brina
Se in presenza di aria asciutta il terreno si raffredda così
tanto, che l’umidità relativa raggiunge il 100%,
allora si
deposita al suolo la rugiada. A temperature al di sotto di 0°C,
si
forma la brina.
Satelliti
meteorologici
I satelliti
meteorologici o, meglio le immagini inviateci
dallo spazio da questi satelliti, sono forse lo strumento che
più affascina i non addetti ai lavori che si avvicinano al
mondo delle previsioni tant'è che spesso i satelliti sono
considerati in modo sbrigativo la chiave "magica" in possesso dei
meteorologi che apre loro le porte ad una previsione indovinata. Ma
cosa c'è di vero dietro questa opinione diffusa ? E'
così importante questo "terzo" occhio dallo spazio che ha
mosso i primi passi negli anni 60 (più esattamente l'1
Aprile del 1960 quando fu lanciato dagli Usa il primo di dieci
satelliti denominati Tiros)?
Per dare una risposta cominciamo dal dire senza eccessi di carattere
tecnico cosa sono e come operano i satelliti meteorologici.
Distinguiamo innanzitutto due tipi di satelliti, quelli "geostazionari"
e quelli "polari". I primi mantengono una posizione fissa rispetto alla
terra perché ruotano sul piano equatoriale con la stessa
velocità angolare di rotazione del nostro pianeta. Il
Meteosat, le cui immagini diffuse in molti bollettini meteo televisivi
ci sono ormai familiari, si trova immobile ai nostri occhi sulla
verticale uscente dai 0 gradi di latitudine e 0 di longitudine ad una
distanza dalla terra di 35786 chilometri dalla superficie terrestre. Il
compito di questi satelliti è quello di osservare una
porzione di terra che va dai 60° nord ai 60° sud e un
sistema di 5 satelliti equispaziati consente di coprire tutta la fascia
compresa tra le suddette latitudini. I satelliti polari invece si
muovono rispetto ad un osservatore sulla terra, che li vede spostarsi
con una traiettoria simile ad un otto, ma il loro moto si ripete
esattamente ogni 24 ore per cui ogni giorno alla stessa ora il
satellite "sorvolerà" una particolare porzione della terra.
Il loro compito, complementare a quello dei satelliti geostazionari,
è quello di osservare le alte latitudini della terra, quelle
oltre i 60° gradi.
Ma cosa vuol dire osservare la terra ? Vuol dire acquisire con la
strumentazione a bordo del satellite immagini nel campo del visibile
(come in una foto), dell'infrarosso e in quella, dal significato meno
immediato, del vapore acqueo. Queste immagini a loro volta permettono
di dedurre in modo diretto o indiretto molti dati: dall'analisi dei
sistemi nuvolosi e del loro moto, a stime del vento in quota, alla
temperatura dei mari e delle terre emerse, all'estensione delle nevi e
dei ghiacciai....ecc. Quindi una sola immagine da satellite, grazie
alla sua posizione privilegiata, fornisce più dati di
qualsiasi rete di osservazione a terra.
Ma torniamo quindi ai quesiti di partenza. Fino ad ora abbiamo parlato
di osservazioni ossia dell'analisi di cosa sta accadendo nell'atmosfera
nel momento in cui il satellite "butta l'occhio" verso la terra e non
di cosa accadrà sempre in atmosfera nel futuro. Tutta mal
riposta quindi questa fama di strumento magico per la previsione del
nostro tempo di domani ? Non proprio perché la conoscenza di
cosa accade ora in atmosfera è di fondamentale importanza
per stimare cosa accadrà domani e quindi per prevedere. I
modelli fisico-matematici, dal nome un po' altisonante, i cui output
giornalieri sono il vero strumento di lavoro quotidiano per i
meteorologi impegnati a sfornare previsioni, in realtà non
possono prescindere nelle loro elaborazioni dalla conoscenza della
situazione iniziale dell'atmosfera. Il tempo di domani è
infatti figlio del tempo di oggi e quanto più è
accurata la conoscenza dell'oggi tanto più accurate saranno
le previsioni per domani. Ed è qui che i satelliti giocano
un ruolo determinante nella buona riuscita di una previsione: infatti
aiutano a conoscere l'oggi dell'atmosfera sia coprendo in termini di
acquisizione dati aree come quelle oceaniche o desertiche dove le
osservazioni al suolo sono scarse, sia integrando la rete di
osservazioni eseguite con i palloni sonda e quindi aumentando la mole
di dati a disposizione in quota.
Giovanni Dipierro - Centro Epson
Meteo
Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Il sistema Meteosat
è una
costellazione di satelliti artificiali metereologici geostazionari
comandata da EUMETSAT (European Organisation for the Exploitation of
Meteorological Satellites). I satelliti Meteosat sono riconducibili a
tre diversi programmi. Il programma Meteosat Transition Programme (MTP)
è stato pensato per assicurare continuità
operazionale
tra la fine del positivo Meteosat Operational Programme nel 1995 e
l'inizio del progetto Meteosat Second Generation (MSG), che ha iniziato
la sua missione all'inizio del 2004 con l'uso di satelliti migliorati
tecnologicamente. L'MTP ha assicurato una sovrapposizione con il
programma MSG per assicurare, nelle intenzioni quantomeno fino alla
fine del 2005, la continuità del vecchio sistema Meteosat.
Prima generazione
La prima generazione di
satelliti
Meteosat, da Meteosat-1 fino a Meteosat-7, assicura osservazioni
metereologiche continue ed affidabili ad una vasta comunità
di
fruitori. Un satellite Meteosat di prima generazione fornisce immagini
della Terra e della sua atmosfera con cadenza di 30minuti. Le immagini
si riferiscono a tre diversi canali spettrali: uno nel visibile
(0.5-0.8 μm), uno nell'infrarosso termico (10.5-12.5 μm)
ed uno
nella banda di assorbimento del vapore acqueo nell'infrarosso (5.7-7.1
μm). Da notare che la prima generazione di satelliti Meteosat
non
è dotata di scanner multispettrale, ma i tre canali sono
forniti
da quattro (per il visibile ce ne sono due) distinti sensori. La
risoluzione a terra è di 2.5 Km per 2.5 Km nel visibile e di
5
Km per 5 Km nell'infrarosso[1]. A bordo è presente anche il
Meteosat Visible and Infrared Imager (MVIRI), uno strumento in grado di
fornire a terra immagini metereologiche già preprocessate. I
satelliti Meteosat di prima generazione supportano anche la
ritrasmissione di dati che ricevono da piattaforme remote poste su
aerei o in mare e la diffusione di dati metereologici in formato testo
e grafico.
Questi satelliti sono
stati costruiti
da un consorzio COSMOS composto in primis da Aerospatiale nel suo
Cannes Mandelieu Space Center e da Matra, MBB, Alenia Aeronautica,
Marconi Company.
Sono caratterizzati da
una lunghezza
di 3.195 metri ed un diametro di 2.1 metri. La massa iniziale in orbita
è di 282 Kg e ruotano attorno al proprio asse a 100 giri al
minuto[2].
Seconda generazione
Il
contratto per la costruzione dei satelliti di seconda generazione
è stato assegnato ad Aerospatiale, che ha iniziato i lavori
presso il Cannes Mandelieu Space Center (che fa parte del Thales Alenia
Space center), con la collaborazione principalmente di Matra,
Messerschmitt ed Alenia Aeronautica.
La seconda generazione
deve
rispondere alle necessità degli utenti in termini di
Nowcasting
applications e Numerical Weather Prediction. Il nuovo strumento noto
come GERB ricava dei dati importanti per la ricerca ed ilmonitoraggio
del clima. Lo scanner multispettrale è in grado di operare
in 12
diverse bande, legate a diversi fenomeni atmosferici: 2 nel visibile e
9 nell'infrarosso caratterizzate da una risoluzione a terra di 3 Km per
3 Km ed 1 pancromatica con risoluzione 1 Km per 1 Km[1].
Per quanto riguarda la
stabilizzazione dello spin, i nuovi satelliti sono analoghi ai vecchi,
ma ci sono stati dei miglioramenti nel design. I dati raccolti sono
più frequenti e ricchi e favoriscono la tempestiva
previsione di
fenomeni meteorologici pericolosi come i temporali, la formazione di
nebbia, e lo sviluppo delle piccole, ma allo stesso tempo intense
depressioni che causano la formazione di devastanti tempeste.
I meteosat di seconda
enerazione sono
caratterizati da un diametro di 3.2 m eduna lunghezza di 2.4 m. La
rotazione è antioraria alla velocità di 100 giri
al
minuto[3] a un'altitudine di 36,000 km.
Il 29 gennaio 2004 il
primo satellite
Meteosat di seconda generazione, MSG-1, poi chiamato Meteosat-8,
hainiziato le operazioni di routine. Oltre al payload principale SEVIRI
(Spinning Enhanced Visible and Infrared Imager), Meteosat-8 porta a
bordo anche il payload secondario GERB (Geostationary Earth Radiation
Budget).
Il lancio di MSG-2 (poi
chiamato Meteosat-9) ha avuto luogo il 21 dicembre 2005.
Alla fine di giugno 2007
Meteosat-6,
-7, -8 e -9 erano tutti operativi contemporaneamente. Meteosat-6 and -7
stazionano sull'Oceano Indiano, Meteosat-8, e -9 sono posizionati sopra
l'Africa con varie differenze nella configurazione, Meteosat-6 fornisce
servizi GPS ed è un backup di Meteosat-7, che fornisce la
copertura dell'Oceano Indiano (ogni 30 minuti). Meteosat-8, oltre ad
essere il backup di Meteosat-9, fornisce un servizio di scansione
rapida della situazione europea, iniziato nel secondo trimestre del
2008, caratterizzato dalla capacità di fornire un'immagine
ogni
5 minuti. Meteosat-9 invece acquisisce le immagini principali della
zona euro-africana (un'immagine ogni 15 minuti).
Il lancio di MSG-3
è
pianificato per il 2010 e quello di MSG-4 per la prima metà
del
2013. Come MSG-1 e MSG-2, MSG-3 e MSG-4 dovrebbero essere lanciati da
Arianespace.[5]
Payload secondario
Entrambi i satelliti
operativi di
seconda generazione hanno a bordo un Search and Rescue signal Processor
(SARP), che è in grado di captare i segnali di pericolo (o
distress signals) dai dispositivi distress radiobeacons a frequenze di
406 MHz. Questo aspetto può essere approfondito alla voce
COSPAS-SARSAT.
1. Meteosat.
2. EUMETSAT - MFG Architecture
3. EUMETSAT - MSG Architecture
4. EUMETSAT - MSG Orbit Info
5. Arianespace
Stau
Quando spirano correnti umide da sud, sul versante meridionale delle
Alpi le montagne favoriscono l’innalzamento delle masse
d’aria, con conseguente formazione di nubi fitte (anche a
bassa
quota) e precipitazioni insistenti di debole o moderata
intensità. Il fenomeno di Stau è particolarmente
accentuato in vallate aperte verso sud e sbarrate a nord da una catena
montuosa. Sul versante settentrionale delle Alpi spira il Föhn.
Temperatura
La
temperatura
è la misura dell’energia cinetica (o
velocità)
delle molecole dell’aria: più essa è
alta e
più le molecole si muovono velocemente. In pratica si tratta
di
un indice del calore dell’aria. L'unità di misura
utilizzata è il grado centigrado (°C).
Si evidenzia che i valori di temperatura rilevati dalla stazione meteo
urbana di Pont-Saint-Martin nella stagione invernale sono superiori
rispetto alle zone del comune situate in aperta campagna (extraurbane)
di circa 2°C nelle giornate di cielo sereno e di circa
1°C
nelle giornate di cielo coperto. Questo divario, tipico delle stazioni
urbane, è imputabile alla collocazione del sensore
termo-igrometro in una zona circondata da molte abitazioni che cedono
calore all'ambiente circostante.
Temporali
Cronaca
di una giornata estiva: il
mattino presto il cielo si presenta sereno, bastano però
poche ore e compaiono i primi cumuli sui monti, sui pendii che per
primi sono stati illuminati dal sole. Il resto della giornata trascorre
senza che succeda nulla di particolare, e solo ogni tanto il sole viene
oscurato da un cumulo di passaggio. Poi all'improvviso scoppia un
temporale di breve durata e la notte che segue è serena e
tranquilla. Eventi di questo tipo vengono denominati 'temporali di
calore', sono innescati dal riscaldamento diurno e il loro raggio
d'azione è molto limitato: una vallata alpina, parte di una
provincia, talora solamente alcuni quartieri di una città. A
pochi chilometri di distanza il cielo può essere del tutto
sereno e talora si avverte solo un aumento di intensità ed
un cambio di direzione del vento.
Il temporale di calore si sviluppa nelle zone continentali in
condizioni di debole circolazione atmosferica, anche con pressione
relativamente elevata, e la sua origine va ricercata nella formazione
di una colonna di aria instabile per cause puramente locali. Non deve
sorprendere che anche per la meteorologia moderna il temporale di
calore risulta, quantomeno nella previsione classica a ventiquattro
ore, una presenza davvero scomoda.
Per nostra fortuna, la maggior parte degli episodi temporaleschi ha
un'origine dinamica, e questi possono essere previsti dal meteorologo
grazie ai modelli numerici in uso. Il temporale di origine dinamica si
sviluppa entro una porzione dell'atmosfera che risulta essere instabile
anche su lunghezze dell'ordine di centinaia di chilometri. Vi sono i
temporali che si sviluppano lungo le superfici frontali (fronte freddo
specialmente) e i temporali che nascono dopo il passaggio del fronte
freddo in regioni di elevata instabilità dell'aria, a patto
che vi sia aria molto fredda in quota e condizioni favorevoli ai moti
verticali. Nella realtà l'innesco del singolo temporale
può ancora essere condizionato dai fattori locali, specie
dall'orografia, ma i forti moti convettivi vengono attivati da cause
dinamiche 'esterne' che sono, in generale, le stesse che concorrono
allo sviluppo della nuvolosità e delle piogge non
temporalesche. Avremo dunque temporali su diverse località,
e magari più episodi consecutivi.
Non è difficile imparare a classificare il tipo di temporale
a cui abbiamo assistito: se l'evento è generato da un fronte
freddo il barometro segnalerà prima un calo, poi un
sensibile aumento della pressione, diversamente la lancetta del
barometro si sarà mossa di poco; se il temporale si sviluppa
entro un nucleo di aria fredda non mancheremo di osservare la brusca
discesa della temperatura soprattutto durante la precipitazione, ma che
perdura anche nelle ore successive, mentre il temporale di calore ha un
effetto 'rinfrescante' di breve durata, spesso limitato solo al momento
dei rovesci. Più in generale, ovviamente, i temporali che
osserviamo all'interno di un periodo di tempo perturbato, che sono
preceduti da piogge o che sono seguite da altre ore di maltempo, senza
necessariamente un cambio della massa d'aria, hanno sempre un'origine
dinamica.
Lorenzo Danieli - Centro Epson
Meteo
Termica
Moti ascendenti delle particelle d’aria, riscaldate dal suolo
caldo. In questo processo è molto importante la natura del
suolo. Per esempio la sabbia, i campi di grano, le rocce e le case si
riscaldano più rapidamente di prati, foreste o specchi
d’acqua. Gli alianti utilizzano le termiche per guadagnare in
quota.
Tornado
Grande
tromba d'aria con diametro al suolo di 300-700mcon
una forte depressione nella sua parte centralein torno alla quale i
venti ruotano in senso antiorariocon velocità che
raggiungono spesso 200-300 Km/h. Si riconosce dalla tipica nube scura
ad imbuto che dal suolo si collega fino alla base della nube
temporalesca. E' il più violento ed il più
distruttivo fenomeno meteorologico ma per fortuna di breve durata (1-2
ore). E' tipico degli USA e dell'Australia.
Tromba
d'aria
Le trombe
d'aria rappresentano il fenomeno meteorologico
più
violento che si può verificare nell'area mediterranea. Si
tratta in pratica di un vortice ruotante in senso ciclonico
(cioè antiorario) che ha origine e discende dalla base di un
cumulonembo; spesso infatti le trombe d'aria si manifestano in
concomitanza di temporali piuttosto violenti. Il tipico aspetto di una
tromba d'aria è quello di una colonna nuvolosa, a forma di
imbuto, che si protende fino al suolo, ove si allarga a forma di
proboscide raggiungendo un diametro di 50-150 metri. Al centro del
vortice la pressione raggiunge valori molto bassi; ed è
proprio il dislivello barico tra il centro e la periferia del vortice,
che è di circa 20-30 hPa, a risucchiare l'aria verso
l'interno e a costringerla a girare intorno al centro di bassa
pressione, con velocità prossime ai 100-150 km/h.
Una tromba d'aria di solito ha un ciclo vitale che non supera i 30
minuti, nei quali percorre qualche decina di chilometri; i danni che
provoca lungo il suo percorso non sono tanto causati dal dall'effetto
del vento sugli ostacoli incontrati, quanto dalla forza d'urto
dell'aria che viene risucchiata dalle zone circostanti verso il minimo
al centro del vortice stesso. Le violenti correnti ascendenti
all'interno del vortice proiettano inoltre verso l'alto gli oggetti ed
i detriti risucchiati.
Condizioni favorevoli all'innesco di una tromba d'aria sono quelle
caratterizzate da un'elevata instabilità atmosferica che si
sviluppa per esempio quando uno strato di aria fredda viene a trovarsi
sovrapposto ad una massa d'aria molto calda e umida che staziona in
prossimità del suolo. Quando l'equilibrio tra le due
differenti masse d'aria si rompe, l'aria più calda viene
bruscamente aspirata verso l'alto, richiamando aria dalle zone
circostanti.
Situazioni come quella appena descritta possono verificarsi in
Valpadana nel periodo estivo, quando un flusso di aria fresca dal
Nordeuropa va a sovrastare l'aria calda ed umida stagnate al suolo dopo
un lungo periodo di bel tempo.
In Italia le zone maggiormente colpite dal fenomeno delle trombe d'aria
sono le aree pedemontane alpine, il Friuli, il Ponente Ligure, le coste
dall'alta Toscana e del Lazio e la Sicilia orientale.
La probabilità un dato luogo sia investito da una tromba
d'aria è però molto bassa, sia per la
rarità del fenomeno che per la ristretta area da esso
interessata.
Flavio Galbiati - Centro
Epson Meteo
Umidità
relativa
Ad una certa
temperatura una data massa d’aria
non
può contenere più di una determinata
quantità di
vapore. Tale quantità è detta di saturazione,
poiché un ulteriore apporto di vapore determinerebbe la
condensazione di quello eccedente, sotto forma di goccioline visibili
come la nebbia o le nubi.
L’umidità relativa non è altro che il
rapporto tra
la quantità effettiva di vapore e la quantità che
quella
massa d’aria potrebbe contenere allo stato di saturazione
nelle
stesse condizioni di temperatura e pressione. Per esempio, con una
temperatura di 20°C la massima quantità di vapore
acqueo per
chilogrammo è di 13,6 grammi; se il contenuto fosse
realmente
tale, si avrebbe un’umidità relativa del 100%; se
invece
il contenuto fosse di 6,8 grammi (cioè la metà),
l’umidità relativa risulterebbe del 50%.
In questo processo la temperatura dell'aria gioca un ruolo importante,
infatti l’aria calda può contenere più
vapore
dell’aria fredda e a parità di immissione di
vapore, la
saturazione avviene più rapidamente in presenza di aria a
temperatura più bassa.
Unità
di misura
(sigle e codici)
SIGLA |
SIGNIFICATO |
NOTE |
hPa/mbar |
Ettopascal/millibar |
Unità
di misura della pressione atmosferica |
°C/°F |
Gradi
Celsius/Fahrenheit |
Unità
di misura della temperatura |
min /max |
Minimum/maximum |
Minimo/massimo |
MPS |
Metres per second |
Metri al secondo |
KMH |
Kilometres per
hour |
Chilometri
all'ora |
MPH |
Miles per hour |
Miglia all'ora |
kt |
Knots (nodi) |
Unità
di misura della velocità del vento |
hr |
Hour |
Ora |
UTC |
Universal Time
Coordinated |
Orario del
meridiano fondamentale di Greenwich |
CET |
Central European
Time |
Orario tedesco |
EST |
Eastern Standard
Time |
Orario della
costa orientale statunitense |
WST |
Western Standard
Time |
Orario della
costa occidentale statunitense |
Lat/Long |
|
Latitudine/longitudine |
N/S/W/E |
North/South/West/East |
Punti cardinali
(Nord/Sud/Ovest/est) |
Ur |
|
P>Umidità
relativa |
MSL |
Mean Sea Level |
Livello medio
del mare |
Taf |
|
Messaggio di
previsione meteorologica aeroportuale |
Metar |
|
Messaggio di
osservazione meteorologica utilizzato in Aviazione |
w |
|
Velocità
verticale dell'aria espressa in cm/s |
w
|
|
Velocità
verticale dell'aria espressa in hPa/h |
VIS/IR/VW |
Visibile/Infrarosso/Vapore
acqueo |
Bande di
ricezione dei satelliti meteorologici |
B/A |
Bassa/alta |
Zone di bassa e
alta pressione |
L/H |
Low/High |
Zone di bassa e
alta pressione |
WMO (OMM) |
World
Meteorological Organization |
Organizzazione
meteorologica mondiale |
ECMWF |
European Centre
for Medium range Weather Forecast |
Centro europeo
per la previsione meteorologica a medio termine |
ENSO |
El
Niño Southern Oscillation |
|
MO |
Mediterranean
Oscillation |
|
AO |
Artic Oscillation |
|
NAO |
Northern
Atlantic Oscillation |
|
GMC |
Global Model
Circulation |
Modello della
circolazione generale dell'atmosfera |
Uragano
Uragano
è il nome di origine caraibica (hurican
o huracan) usato per indicare un ciclone tropicale, frequente
specialmente nei Caraibi e caratterizzato da vento che raggiunge
velocità pari o superiori a 118 km/h.
Con uragano si indica anche un vento di forza eccezionale,
corrispondente al dodicesimo grado della scala di Beaufort.
Vento
(intensità e direzione)
Il
vento è lo spostamento di una massa
d'aria da una
zona dove la pressione atmosferica è maggiore ad una dove
è minore.
La velocità di spostamento e quindi la sua
velocità
sarà tanto più elevata quanto più
rapida
sarà la variazione orizzontale della pressione atmosferica,
chiamata "gradiente barico".
Particolare importanza riveste anche il modo in cui si misura
l'intensità del vento. Nel sistema internazionale la misura
dell'intensità del vento è espressa in metri al
secondo
(m/s). Nella navigazione aerea, in quella marittima e nei bollettini
meteorologici la misura si effettua in nodi. Un nodo è
l'equivalente di un miglio nautico all'ora, ovvero 1.852 metri all'ora.
Una scala di misura tradizionale dell'intensità del vento,
che
ha il vantaggio di essere facilmente riconducibile ai fenomeni che il
vento provoca, è la scala Beaufort. Si tratta di una scala
introdotta nel 1805 dall'Ammiraglio Francis Beaufort della Marina
Britannica, e successivamente modificata per adattarla ai tempi e alle
esigenze. La scala si compone di un grado (spesso detto forza), di un
termine descrittivo convenzionale e di una descrizione visiva degli
effetti tipici dei vari gradi. Nella tabella accessibile dal link
sottostante, è stato aggiunto l'equivalente dei vari gradi
in
m/s, nodi e km/h, nonché la suddivisione in classi
utilizzata
nelle previsioni meteo.
Per direzione del vento si intende la provenienza del vento, per la
quale si possono utilizzare i punti cardinali oppure, se si vuole
essere più precisi, i 360 gradi dell'angolo giro, come
indicato
nella nota "rosa dei venti": 0° corrisponde al Nord, e,
procedendo
in senso orario, Est=90°, Sud=180° e Ovest=270°.
Walker
(circolazione di)
Il diseguale
riscaldamento di zone diverse del nostro
pianeta dà luogo allo spostamento di grosse masse d'aria, in
modo tale che il calore ricevuto dal sole tenda a distribuirsi in
maniera omogenea nell'atmosfera. All'interno di queste grandi strutture
che regolano la circolazione atmosferica a livello planetario si
inseriscono poi quei fenomeni che caratterizzano il tempo su scala
più ridotta (cicloni mobili, fronti freddi e caldi, etc. ).
Se la più importante ed estesa delle grandi strutture a
livello planetario è la Circolazione di Hadley, che divide
ciascun emisfero in tre grandi fasce (dall'equatore ai 30° di
latitudine, dai 30° ai 60° di latitudine, dai
60° di latitudine al Polo), grande importanza ha anche la
Circolazione di Walker, che divide la fascia equatoriale in tre grandi
celle convettive con direttrice ovest-est.
Tali grandi celle convettive sono situate una sull'Oceano Pacifico, una
sull'Oceano Atlantico, ed una sull'Oceano Indiano. In ciascuna di
queste celle l'aria sale nel ramo occidentale, ove le acque oceaniche
sono più calde, per poi ridiscendere lungo il ramo
orientale. Nell'ascesa sul lato occidentale le masse d'aria raggiungono
anche i 12 km di altezza, con conseguente sviluppo di molte nubi
temporalesche ed abbondanti precipitazioni; le intense correnti
ascensionali si trovano sulla verticale di Indonesia ed Australia,
dell'Amazzonia, e dell'Africa Centrale. L'aria che invece discende sul
lato orientale della cella risulta particolarmente secca, anche a causa
del fenomeno di subsidenza: è in queste zone, tra l'altro,
che si trovano alcune delle maggiori aree desertiche del pianeta. La
cella sull'Oceano Pacifico risulta più estesa delle altre
due, in quanto è maggiore il gradiente termico tra il suo
ramo occidentale e quello orientale. L'enorme quantità di
energia, necessaria ad alimentare le tre celle di Walker, è
fornita dalle grandi quantità di calore liberate nel
processo di condensazione in atto nei rami ascendenti.
Variazioni alla Circolazione di Walker si osservano in concomitanza con
episodi di Niño, fenomeno che comporta tra l'altro una
diminuzione della differenza di temperatura tra le acque superficiali
del Pacifico Occidentale e del Pacifico Orientale.
Andrea Giuliacci - Centro Epson
Meteo
Windchill
(temperatura
percepita)
Il
windchill è una misura del tasso di calore perso e non una
temperatura
reale, infatti esso ci fornisce la temperatura apparente e non quella
reale che è quella rilevata dal sensore della temperatura.
Pertanto, se
la temperatura reale è ad esempio 4°C, ed il
windchill di -2°C,
possiamo esser sicuri che non siamo ancora arrivati al punto di
congelamento dell'acqua. Tale indice è applicabile quando la
velocità
del vento è compresa tra 2 m/s e 24 m/s e quando la
temperatura è
inferiore a 11°C.
In
pratica questo indice può essere impiegato per descrivere
quale sia la
reale temperatura avvertita da un organismo umano in relazione alla
temperatura dell'aria e alla velocità del vento. Non
è infatti
difficile notare come la sensazione di disagio, in particolare durante
la stagione invernale, si presenti alquanto diversa con situazioni di
calma di vento oppure con presenza di brezza o di vento sostenuto. A
tale scopo lo scienziato Steadman ha elaborato una formula che
determina la reale sensazione di freddo della pelle nuda esposta a
diverse temperature con vento a velocità diverse. Si ottiene
così il
valore di windchill, ossia il valore della temperatura virtuale in
rapporto alla forza del vento.
WindRun
Il WindRun è la quantità di vento passata sulla
stazione di rilevamento per unità di tempo (/h, /24h,
/settimana, /mese, /anno, totale) espressa in "Km di vento". Con un
esempio indica i chilometri la distanza percorsa da una ideale
particella d'aria sospinta dal vento soffiato nell'unità di
tempo.
In termini pratici esprime la "ventosità della stazione di
rilevamento. In questa stazione viene espresso sia relativamente alla
giornata in corso che all'intero anno.
Si ottiene moltiplicando la velocità media del vento x
l'unità di tempo.
Velocità
media del vento = 10 km/h
Unità
di
tempo = 24h
WindRun
= 10 km/h x 24h
= 240km
Zero
termico
Quota, al di sopra della quale la temperatura dell’atmosfera
scende sotto gli zero gradi.